Differimento al 31 ottobre esteso ai soggetti coinvolti da tali novità e dalle disposizioni di coordinamento ex DL n. 244/2016

Di MAURIZIO MEOLI

La Cassazione, in due sentenze depositate ieri, le nn. 21566 e 21567, relative alla medesima vicenda, si sofferma, tra l’altro, sull’obbligo di vigilanza dei sindaci e sui presupposti per l’individuazione, in ambito civilistico, del c.d. amministratore di fatto.

Ai fini dell’inosservanza del dovere di vigilanza previsto dall’art. 2407 comma 2 c.c., ricorda la pronuncia n. 21566, non occorre l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque nonabbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non adempiere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al PM per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.; in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato “ravvedimento operoso” degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo a evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria (cfr. Cass. nn. 13517/2014 e 22911/2010).

Si tenga presente, peraltro, che, nel caso di specie, attinente a una srl, trovava applicazione la previgente disciplina. La riforma ha espressamente riconosciuto la legittimazione attiva alla denunzia ex art. 2409 c.c. al solo collegio sindacale di spa. La pronuncia n. 403/2010 ha escluso che tale potere spetti anche all’organo di controllo di srl, sia nel caso di nomina facoltativa che in quello di nomina obbligatoria. Tale intervento della Cassazione, tuttavia, non ha convinto in dottrina e non ha avuto puntuale riscontro nella giurisprudenza di merito. Secondo il Tribunale di Milano 26 marzo 2010, seguito dai Tribunali di Trieste 21 gennaio 2011 e di Ascoli Piceno 1° marzo 2013, infatti, il potere di denuncia in questione dovrebbe riconoscersi all’organo di controllo obbligatoriamente nominato nelle srl.

La decisione in commento, infine, reputa corretta la sentenza di merito che ravvisa la responsabilità del collegio sindacale il quale, rimasto in carico per tutto il periodo di operatività della società, ben avrebbe potuto rendersi conto della strutturale situazione di debolezza imprenditoriale in cui la stessa versava, del progressivo aumento del passivo e delle “evidenti” illegittimità perpetrate nella predisposizione del bilancio, ma che, ciononostante, aveva tra l’altro omesso di segnalare l’impossibilità di porre rimedio alla situazione debitoria, oramai irreversibile, “sollecitando”, invece, l’approvazione dei bilanci sulla base delle mere assicurazioni fornite dagli amministratori in ordine al futuro ripianamento delle perdite.

Quanto alla figura dell’amministratore di fatto, la sentenza n. 21567 ribadisce come essa sia configurabile quando un soggetto si ingerisca nella gestione di una società in assenza di una qualsiasi investitura, sia pure irregolare o implicita, e sempre che le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico, non essendo sufficiente il compimento di alcuni atti di natura eterogenea e occasionale (Cass. nn. 28819/2008 e 9795/1999).
E, quindi, posto che lo svolgimento di tali funzioni è ravvisabile a fronte dell’assoggettamento della società alle direttive impartite dal soggetto privo di investitura e, più in generale, in presenza del condizionamento esercitato da quest’ultimo sulle scelte operative (Cass. nn. 4045/2016 e 2586/2014), deve condividersi la decisione di merito che riconosce l’esistenza di una gestione di fatto in capo al soggetto che, nella specie, risultava essere il “terminale” di tutte le decisioni assunte dagli amministratori di diritto (nel senso che il suo vaglio ne era passaggio necessario) e che, comunque, pur essendo formalmente un mero socio, partecipava sistematicamente alle riunioni del CdA (il tutto risultante dalle deposizioni dei testi).

Ne emerge una situazione di continuatività e sistematicità dell’intervento nella gestione che non sembra lasciare spazio a dubbi. Peraltro, prosegue la Suprema Corte, non può ritenersi corretta la prospettazione difensiva secondo la quale la qualità di amministratore di fatto presupporrebbe un’ingerenza nella gestione nonsolo continuativa e sistematica, ma estesa a tutti gli ambiti della gestione amministrativa, in tal senso dovendo intendersi il requisito della “completezza” più volte considerato dalla giurisprudenza di legittimità. Dai precedenti citati, infatti, emerge come non sia affatto richiesta la riferibilità degli atti compiuti all’intero spettro delle attività amministrative, risultando sufficiente un intervento incisivo e non occasionale, che, in quanto idoneo a influenzare le scelte imprenditoriali in settori chiave, sia tale da improntare di sé l’operato complessivo della società.
Tale condizionamento, poi, non richiede necessariamente un diretto compimento di atti a rilevanza esterna; è sufficiente che le determinazioni riguardanti la gestione siano “riconducibili” alla volontà dell’amministratore di fatto, eventualmente anche in concorso con l’amministratore di diritto, che non per forza deve presentarsi quale mero prestanome (Cass. n. 35955/2008).