Non basta a escludere l’obbligo l’entrata in carica in occasione della delibera di approvazione

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 20651, depositata ieri, ribadisce che la mancata impugnazione da parte dei sindaci di una società di capitali della delibera di approvazione del bilancio redatto in violazione dei principi normativamente stabiliti può determinare la loro responsabilità anche se essi abbiano assunto la carica solo in occasione dell’assemblea di approvazione. In particolare, nella specie, tale responsabilità è reputata correttamente individuata dai giudici di merito in capo ai sindaci nominati in occasione dell’assemblea di approvazione del bilancio d’esercizio di una srl i quali, come primo atto rilevante, esprimevano parere favorevole alla relativa approvazione, e, di poi, restavano passivi rispetto ad accertate attività di mala gestio e gravi irregolarità dell’amministratore unico.

Come già precisato dalla Cassazione n. 2538/2005, la circostanza che i sindaci fossero entrati in carica proprio in occasione dell’approvazione del bilancio non basta, di per sé, per escludere che essi avessero l’obbligo, una volta assunta tale carica, di valutare le risultanze (già) di quel bilancio, non fosse altro che per i riflessi sulla contabilità dell’esercizio successivo.

Il controllo sull’osservanza della legge, con relativa legittimazione all’impugnazione, inoltre, ha ad oggetto anche la legittimità delle delibere assembleari, specie se adottate in esito a un procedimento nel quale si inseriscono precedenti atti degli amministratori. La nomina appena avvenuta, allora, non vale a escludere che – in presenza di gravi irregolarità, idonee a inficiare la correttezza e la veridicità dei dati di bilancio e, perciò, tali da rendere illeciti il bilancio medesimo e la relativa deliberazione approvativa – i sindaci fossero legittimati a impugnare siffatta deliberazione allo scopo di consentire il doveroso ripristino della regolare rappresentazione della realtà patrimoniale, economica e finanziaria della società nella sequenza dei successivi periodi contabili.

Essendo il bilancio frutto della cooperazione degli amministratori, che lo predispongono, e dell’assemblea, che lo approva, l’eventuale violazione dei principi di redazione e dei criteri di valutazione imposti dalla legge certamente legittima anche il collegio sindacale a reagire impugnando la deliberazione approvativa del bilancio illecito. L’attribuzione di tale legittimazione all’organo sindacale implica che al controllo dei sindaci sull’osservanza della legge prescritto dall’art. 2403 comma 1 c.c. (nella specie considerato nella versione ante DLgs. 6/2003) non sia affatto estranea la legittimità degli atti assembleari. Tanto meno nel caso dell’approvazione del bilancio, dove si realizza la conclusione di un complesso procedimento, in cui sono compresi precedenti atti dell’organo amministrativo, e che direttamente si riflette (anche per le proiezioni future) sulla responsabilità di controllo contabile che può essere affidata proprio ai sindaci.

Al riguardo, peraltro, è opportuno rilevare, da un lato, che la Cassazione n. 10452/2014 ha configurato la responsabilità dei sindaci per violazione degli obblighi di controllo e vigilanza anche in relazione alle iniziative da assumere rispetto a un bilancio approvato prima della loro nomina e a essi non comunicato e, dall’altro, che i criteri applicativi della Norma di comportamento CNDCEC 1.8, escludono, “in condizioni normali”, l’estensione dell’attività di vigilanza a fatti anteriori all’assunzione dell’incarico (specie con riguardo all’ultimo bilancio approvato).

La sentenza in commento ribadisce, inoltre, come la responsabilità dei sindaci per omesso controllo non possa essere esclusa dalla condotta “elusiva” degli amministratori. La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, essendo sufficiente che i sindaci non abbiano reagito in modo adeguato ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non potersi dire di avere assolto l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede (cfr. Cass. n. 13517/2014).
L’attività di controllo rimessa al collegio sindacale non può fondarsi, evidentemente, sulle sole informazioni che gli amministratori sono obbligati a fornire, dovendo strutturarsi anche tramite l’esercizio dei propri poteri d’indagine, segnalazione e intervento.

La condotta omissiva dell’amministratore, quindi, non può comportare l’esclusione o il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale. Anzi, questi, in caso di accertate carenze informative, non possono limitarsi a mere sollecitazioni nei confronti dell’organo amministrativo. Ciò perché la valenza fortemente sintomatica di una qualsiasi condotta elusiva dell’amministratore (così come della incompletezza della contabilità) rende ancora più pregnante l’obbligo di vigilanza dei sindaci, in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti dagli atti di abuso gestionali, ma anche della necessaria verifica di efficienza, trasparenza e adeguatezza dell’attività di gestione. Si tratta di situazioni che, in ultima analisi, qualora l’inerzia dell’amministratore dovesse perseverare, devono condurre i sindaci alla denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c.