La struttura organizzativa, amministrativa e contabile non è funzionale soltanto alla rilevazione della perdita di continuità aziendale

Di Michele BANA

L’art. 375 del DLgs. 14/2019 ha introdotto il comma 2 dell’art. 2086 c.c., secondo cui l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Questa disposizione è in vigore dal 16 marzo 2019, ai sensi dell’art. 389 comma 2 del DLgs. 14/2019, che individua le norme già applicabili, a differenza della formale decorrenza della piena operatività del “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, prevista, invece, per il 15 agosto 2020.

Gli obblighi degli adeguati assetti aziendali, posti dall’art. 2086 comma 2 c.c., riguardano tutte le società, a prescindere dal fatto che siano di capitali o persone e dalle caratteristiche dimensionali. Tale norma non interessa, al contrario, l’imprenditore individuale, la cui disciplina – recata dall’art. 3 comma 1 del DLgs. 14/2019, e in vigore solo dal 15 agosto 2020 – impone il dovere, in capo a costui, di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.

Relativamente ai profili operativi dell’obbligo posto a carico alla società, si dovrebbe ritenere che l’adeguatezza dell’assetto organizzativo sia perseguibile mediante l’implementazione di regole e procedure dirette ad assicurare la corretta attribuzione del potere decisionale, con riguardo alle capacità e responsabilità dei singoli soggetti.

L’assetto amministrativo e contabile deve, invece, ritenersi adeguato se garantisce il raggiungimento di alcuni obiettivi minimi, quali, ad esempio: la rilevazione contabile tempestiva, completa e, pertanto, attendibile; la produzione di dati utili per l’assunzione delle decisioni gestionali, la salvaguardia del patrimonio aziendale e la redazione del bilancio d’esercizio.

Conseguentemente, la suddetta adeguatezza degli assetti aziendali presuppone un approccio ordinato alla gestione, che richiede la sussistenza di alcune circostanze essenziali:
– l’organigramma per funzioni;
– i flussi informativi attendibili;
– l’analisi dei rischi, dei punti di forza e debolezza;
– un reporting periodico, con frequenza preferibilmente trimestrale, anche alla luce della scansione temporale imposta dagli strumenti di allerta (ex artt. 14 e 15 del DLgs. 14/2019) e dalle misure premiali (ai sensi degli artt. 24 e 25 del DLgs. 14/2019);
– la verifica dei margini consuntivi, suddivisi anche per divisione o business unit, e la corrispondente stima prospettica.

Con peculiare riguardo all’analisi dei rischi, un utile supporto è fornito già dalla Relazione sulla gestione al bilancio d’esercizio, ove redatta, dalla quale deve risultare, tra l’altro, “una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta” (art. 2428 comma 1 c.c.). Nel caso di utilizzo di strumenti finanziari rilevanti per valutazione della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale della società, questo documento deve, inoltre, esporre (comma 6-bis):
– gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste;
– l’esposizione della società al rischio di prezzo, credito, liquidità e variazione dei flussi finanziari.

La capacità degli adeguati assetti aziendali di rilevare tempestivamente la crisi e la perdita di continuità aziendale presuppone, inoltre, lo sviluppo di un’efficiente attività di pianificazione e controllo. L’art. 2 del DLgs. 14/2019, formalmente in vigore dal 15 agosto 2020, ma costituente già un valido principio interpretativo, definisce, infatti, la crisi come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per l’impresa si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici ad adempiere regolarmente le obbligazioni pianificate: il piano industriale e finanziario riveste, quindi, un ruolo centrale nell’individuazione della c.d. insolvenza prospettica.

I criteri di accertamento di tale concetto di crisi sono ulteriormente precisati dall’art. 13 comma 1 del DLgs. 14/2019, che ricorre all’utilizzo di specifici indici idonei a fornire evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso oppure, quando la durata residua del periodo amministrativo al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi seguenti. A questi fini, sono considerati indici significativi quelli che misurano la sostenibilità dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi.