Nel decreto «crescita» viene rivista l’agevolazione sostitutiva dell’ACE, premiando i soli accantonamenti di utili

Di Alessandro COTTO e Gianluca ODETTO

Come anticipato nei giorni scorsi (si veda “Revisione della «mini IRES» in vista già per il 2019” del 30 marzo 2019), il decreto crescita abroga la tassazione agevolata degli utili reinvestiti in beni strumentali e in nuova occupazione e la sostituisce con una agevolazione diretta ad incentivare solo il mantenimento degli utili nella disponibilità dell’impresa, a prescindere dal loro impiego.
A differenza della norma abrogata, la nuova disposizione dovrebbe essere di più semplice applicazione, anche se alcuni passaggi del testo attualmente in circolazione pongono delicate questioni interpretative.
Partendo dal 2019, dopo l’ACE e senza che sia diventata operativa l’agevolazione che doveva sostituirla, al reddito d’impresa dichiarato può essere applicata un’aliquota ridotta fino a concorrenza degli utili di esercizio accantonati a riserve disponibili.

In pratica, supponendo che un soggetto IRES abbia accantonato a riserva l’intero utile di esercizio relativo al 2018 (100.000 euro) e che nel 2019 il reddito dello stesso soggetto sia pari a 120.000 euro, la tassazione sul 2019 sarà così articolata:
– sui primi 100.000 euro si applicherà l’aliquota IRES scontata al 22,5%
– sui restanti 20.000 euro si applicherà l’aliquota IRES ordinaria del 24%.

Il decreto prevede un incremento dell’agevolazione scaglionato del tempo, attraverso le seguenti aliquote ridotte:
– 22,5% nel 2019;
– 21,5% nel 2020;
– 20,5% nel 2021;
– 20% a regime, a partire dal 2020.

La norma precisa che rilevano gli utili realizzati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018. Ciò non significa però che l’agevolazione abbia necessariamente un andamento incrementale, vale a dire che nel calcolo del reddito agevolato del 2020 si possa tenere conto sia dell’utile accantonato nel 2018 che dell’utile accantonato nel 2019, in quanto il beneficio spetta nei limiti dell’incremento del patrimonio netto che deve assunto senza tenere conto degli utili accantonati a riserva agevolati nei periodi d’imposta precedenti.

Tale passaggio merita un approfondimento perché non risulta di immediata comprensione.

A differenza della DIT (agevolazione che sul piano concettuale ha diversi punti di contatto con il nuovo incentivo), gli incrementi del capitale investito non devono essere assunti al netto dei decrementi, vale a dire al netto delle riduzioni volontarie del patrimonio netto, quali la distribuzione di dividendi mediante l’utilizzo di riserve o la riduzione del capitale.

È tuttavia previsto che il reddito agevolato non possa superare l’incremento del patrimonio netto dato dalla differenza tra patrimonio netto risultante dal bilancio d’esercizio del periodo d’imposta di riferimento (senza considerare il risultato del medesimo esercizio e gli accantonamenti di utili agevolati) e il patrimonio netto risultante dal bilancio d’esercizio del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, senza considerare il risultato del medesimo esercizio.
Come precisa la relazione illustrativa al decreto, si tratta di un meccanismo di tipo forfetario che lavora per masse e consente la computabilità degli utili accantonati soltanto nella misura in cui, rispetto al dato del 2018, si sia verificato un incremento patrimoniale, prescindendo completamente dalle cause che hanno determinato la movimentazione del patrimonio netto.

Si supponga che il patrimonio netto di una società al 31 dicembre 2018 sia pari a 1.500, al netto dell’utile di 100 conseguito nello stesso anno.
L’utile di 100 viene accantonato per intero a riserva e costituirà la base di calcolo per l’agevolazione nel 2019.
Nel corso del 2019, l’utile di esercizio è pari a 130 e anch’esso viene accantonato per intero a riserva.
Al fine del calcolo dell’agevolazione nel 2020, occorre considerare il patrimonio netto della società risultante nel bilancio 2020 pari a 1730. La norma precisa però che il predetto patrimonio deve essere assunto “al netto degli utili accantonati a riserva, agevolati nei periodi d’imposta precedenti”.
Cosa si debba intendere per utili agevolati nei periodi d’imposta precedenti non viene precisato né, dal decreto, né dalla relazione. Dovrebbe tuttavia potersi affermare che il patrimonio netto rilevante è quello contabile (1730), al netto dell’utile relativo al 2018, accantonato nel 2019, in quanto già “agevolato” nel 2019.

Pertanto, il patrimonio netto rilevante nel 2020 sarà 1630 (1730-100) e l’incremento da considerare ai fini della soglia sarà pari a 130 (1630-1500).
Ipotizzando che il reddito fiscale della società nel 2020 sia pari a 300, l’aliquota ridotta del 21,5% si applicherà solo su 130, per effetto del limite dell’incremento del patrimonio netto.

In linea di principio, quindi, l’agevolazione dovrebbe spettare limitatamente all’utile del periodo d’imposta precedente accantonato, in quanto per gli altri accantonamenti opererebbe l’effetto soglia del patrimonio netto.

A meno che, nel frattempo, il patrimonio netto non sia cresciuto per via di altre vicende.
Si ipotizzi che nel corso del 2020 venga deliberato e versato un aumento di capitale pari a 200; l’incremento del patrimonio netto sarebbe pari a 330 (130 + 200) superiore alla somma degli utili accantonati nel 2019 e nel 2020 (230). Il reddito agevolato nel 2020 sarebbe quindi pari a 230.
Un meccanismo così strutturato rende conveniente effettuare aumenti di capitale in presenza di accantonamento di utili, scelta che sul piano aziendale sovente può risultare immotivata.