È discusso se il contratto sia annullabile o nullo in assenza di previa decisione dei soci

Di Edoardo MORINO

Nell’ipotesi in cui gli amministratori di una srl abbiano stipulato un contratto per la cessione dell’intera azienda in mancanza di una delibera autorizzativa dell’assemblea dei soci si configura una violazione dell’art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. Quali siano le conseguenze di tale violazione è un problema che era stato già affrontato dal Tribunale di Piacenza 14 marzo 2016 e su cui è tornato di recente il Tribunale di Roma 3 agosto 2018, giungendo a conclusioni in parte differenti.

Il Tribunale di Roma afferma, innanzi tutto, che la cessione dell’intera azienda deve essere qualificata non come un atto di gestione estraneo all’oggetto sociale (ossia come un c.d. atto “ultra vires”), comunque idoneo a vincolare la società, ma come un atto per cui è necessaria una previa decisione dei soci ex art. 2479 comma 2 n. 5 c.c.

Per chiarire il punto occorre richiamare anche la disciplina dettata in tema di rappresentanza dall’art. 2475-bis c.c., secondo cui:
– gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società (comma 1);
– le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società (comma 2).

Il Tribunale ricorda che nella categoria degli atti “ultra vires” si distinguono:
– gli atti che, sebbene estranei all’oggetto sociale, non comportano una sua modifica e sono opponibili ai sensi dell’art. 2475-bis comma 2 c.c.;
– gli atti estranei all’oggetto sociale che comportano una sua modifica e che sono sempre opponibili (a prescindere dall’atteggiamento soggettivo del terzo) perché posti in essere in violazione di una limitazione legale.

Se i primi costituiscono una deviazione meramente occasionale dal programma economico della società, che non muta in modo permanente il settore di attività di quest’ultima e il grado di rischio dell’investimento, i secondi realizzano, invece, una modifica di fatto dell’oggetto sociale e, quindi, un mutamento permanente di detti profili.

Atteso che l’art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. riserva alla competenza dei soci le operazioni da cui derivi una rilevante modifica dei loro diritti o una modifica dell’oggetto sociale, deve ritenersi che l’assenza di una delibera assembleare su tali operazioni integri la violazione di una norma inderogabile posta a presidio dei limiti non convenzionali – ossia i limiti di cui all’art. 2475-bis c.c. – ma legali dei poteri di rappresentanza degli amministratori.

Sul tema, il Tribunale di Piacenza 14 marzo 2016 ha osservato come l’art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. abbia un ambito di operatività e una “ratio” del tutto distinta dall’art. 2475-bis c.c. La violazione dei limiti legali inderogabili al potere di rappresentanza dell’amministratore presuppone, infatti, che l’atto dispositivo determini conseguenze permanenti non circoscritte ad una singola operazione, incidendo sulla destinazione stessa del capitale di rischio della società. E ai fini di un eventuale giudizio va precisato, inoltre, che:
– per le violazioni ipotizzabili con riferimento all’art. 2475-bis c.c. la condotta dell’amministratore deve essere verificata secondo un criterio comparativo di strumentalità, diretta o indiretta, dell’atto rispetto all’oggetto sociale da realizzare;
– in relazione alla disciplina di cui all’art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. occorre verificare, in concreto, se l’operazione non autorizzata abbia snaturato l’attività sociale, modificando il grado di rischio dell’investimento.

Sia il Tribunale di Roma che il Tribunale di Piacenza, dunque, sostengono che:
– la cessione dell’intera azienda di una srl rientra tra gli atti che certamente modificano l’oggetto sociale e modificano in maniera rilevante i diritti dei soci;
– pertanto, la decisione riguardante un simile atto non spetta agli amministratori ma appartiene alla competenza funzionale dell’assemblea dei soci;
– tale riserva di competenza funzionale integra un limite legale inderogabile ai poteri di rappresentanza degli amministratori, con la conseguenza che il difetto di potere rappresentativo è sempre opponibile ai terzi, indipendentemente da qualsiasi indagine sul loro atteggiamento soggettivo.

Secondo il Tribunale di Piacenza, dal difetto di potere rappresentativo discenderebbe l’annullamento del contratto. Secondo il Tribunale di Roma, invece, la sanzione andrebbe individuata nella nullità. E al riguardo non varrebbe obiettare che l’art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. non contempla tale rimedio: in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l’art. 1418 comma 1 c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità.