Se è parte solo Agenzia delle Entrate-Riscossione si potrebbe essere fuori dalla definizione

Di Alfio CISSELLO

L’art. 6 del decreto fiscale ha previsto, tra le diverse definizioni, anche quella delle liti pendenti.
Molte, come peraltro è accaduto per le definizioni pregresse, sono le criticità che emergono in merito all’ambito di applicazione delle stesse.
Viene utilizzata una locuzione simile all’art. 11 del DL 50/2017, siccome si definiscono solo le liti fiscali in cui è controparte l’Agenzia delle Entrate.
Dunque, possono essere definiti i processi su atti della riscossione (tipico è il caso della cartella di pagamento) nella misura in cui il contribuente, a torto o a ragione, abbia citato in giudizio l’ente impositore.

Volendo accettare quanto era stato specificato nella circolare Agenzia delle Entrate 28 luglio 2017 n. 22, § 1.1, si vaglia la parte formale e non sostanziale, pertanto la lite non sarebbe definibile se il contribuente, eccependo vizi di merito (imputabili quindi alle Entrate) ha notificato il ricorso solo ad Agenzia delle Entrate-Riscossione, e questa non ha, come prevede l’art. 39 del DLgs. 112/99, citato in causa le Entrate.

Premesso tanto, la lite rientra nella definizione se il ricorso introduttivo è stato notificato entro il 24 ottobre 2018 e se, alla data di presentazione della domanda, il processo è ancora pendente.
Quando il processo pende in primo grado, in sede di rinvio disposto dalla Cassazione oppure quando il contribuente risulta soccombente (ma non si è ancora formato il giudicato), la lite si definisce pagando la totalità delle imposte, con stralcio di sanzioni e interessi.

Di contro, se il contribuente ha vinto in primo grado, si ha anche lo sconto del 50% delle imposte, sconto che sale all’80% se il contribuente ha vinto in secondo grado (a prescindere dall’esito del primo grado).
Non rilevano le pronunce cautelari, quindi né la sospensiva dell’atto impugnato, né della sentenza di primo grado né della sentenza di secondo grado, sospesa dalla stessa Regionale in pendenza del ricorso in Cassazione.

A differenza di quanto era previsto dall’art. 16 della L. 289/2002, per verificare se si ha diritto allo sconto sull’imposta, non si fa riferimento alle sentenze depositate all’atto di presentazione della domanda di condono, ma alle sentenze depositate all’entrata in vigore del decreto legge, quindi al 24 ottobre 2018 (la norma, al comma 2, parla di “ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto”).

Lo stesso criterio (nonostante gli sconti su imposta e sanzioni siano diversi) si ha nella definizione delle liti su atti di contestazione di sole sanzioni (art. 6 comma 3 del DL 119/2018) e nella speciale definizione, molto più conveniente, prevista dall’art. 7 del DL 119/2018 per ASD e SSD.

Il fatto che attribuisce esistenza alla sentenza è il deposito della stessa, quindi se a settembre 2018 si è tenuta l’udienza di primo grado e al 24 ottobre 2018 il deposito non è ancora avvenuto, per definire bisogna pagare tutte le imposte, ancorché in data successiva sopravvenga una sentenza favorevole, che, ove fosse stata depositata entro il 24 ottobre, avrebbe dato diritto allo stralcio anche del 50% delle imposte.

È a questi fini irrilevante che la Commissione tributaria non abbia eseguito il deposito entro i trenta giorni dell’art. 37 del DLgs. 546/92, termine, peraltro, di natura ordinatoria.