La procedura può concludersi anche in un concordato liquidatorio, se più vantaggiosa per i creditori

Di Antonio NICOTRA

Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (schema di Dlgs. di attuazione della L. 155/2017), rottama il vecchio “fallimento”, che prenderà il nome di “liquidazione giudiziale”.

La riforma risponde all’esigenza di garantire alla nuova procedura di liquidazione giudiziale una maggiore rapidità e snellezza, senza stravolgerne i caratteri fondamentali e la funzione di liquidazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente e successiva ripartizione del ricavato in favore dei creditori, in ragione della graduazione del loro credito.

Sotto il profilo soggettivo, la nuova procedura di liquidazione si applica nei confronti dei soggetti che svolgono attività commerciali, restando escluse soltanto le imprese minori, ossia quelle imprese che non raggiungono determinate soglie dimensionali quanto all’attivo patrimoniale, ai ricavi e all’indebitamento, e non si applica neppure all’impresa agricola. Per queste due categorie di imprese, infatti, sussiste una specifica procedura semplificata, c.d. “liquidazione controllata del sovraindebitamento”.

Si interviene sulla figura dei curatori (fallimentari), stabilendo una più elevata professionalità di coloro che sono investiti della funzione e si snelliscono anche le modalità di apprensione dell’attivo.
Il sistema di accertamento del passivo è stato, in concreto, improntato ai criteri fondamentali di efficienza e concentrazione e, a tal fine, è prevista la presentazione telematica delle domande tempestive di creditori e terzi, anche non residenti nel territorio nazionale, e la fissazione di limiti più stringenti alla presentazione delle domande tardive.

Inoltre, è stata integrata la disciplina della chiusura della procedura in pendenza di procedimenti giudiziari, specificando che concerne i processi nei quali è parte il curatore, comprese le azioni per l’esercizio dei diritti derivanti dalla liquidazione giudiziale e dalle procedure esecutive, nonché le azioni cautelari ed esecutive finalizzate a ottenere l’attuazione delle decisioni favorevoli conseguite dalla liquidazione giudiziale.

Attenzione è anche rivolta al “concordato nella liquidazione giudiziale”, che sostituisce il “concordato fallimentare”: si conferma la possibilità che la procedura di liquidazione giudiziale si concluda e assuma le vesti di un concordato, a condizione che la proposta sia supportata da ulteriori risorse, che la rendano più vantaggiosa per i creditori rispetto all’ordinaria liquidazione. Resta invariata, invece, la legittimazione alla presentazione della proposta, spettante sia ai creditori che ai terzi interessati e allo stesso debitore.
Al fine di accelerare i tempi di chiusura, la proposta può esser formulata anche prima che lo stato passivo sia reso esecutivo, a condizione che sia stata tenuta dal debitore una contabilità che consenta al curatore di predisporre un elenco provvisorio di creditori con un grado di affidabilità idoneo a farlo approvare dal giudice delegato.

Può proporre il concordato anche una società alla quale il debitore partecipi o una società sottoposta a comune controllo, purché sia trascorso un anno dall’apertura della procedura di liquidazione, con l’intento di indurlo a ricercare soluzioni concordate e così anticipare la liquidazione giudiziale.
La proposta del debitore non può essere presentata una volta che siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo, per non consentirgli di posticipare la soluzione proponendo alternative sconvenienti per i creditori, interessati alla chiusura della procedura.

Un elemento di novità è costituito dalla condizione, imposta al solo debitore, della necessità che vengano apportate risorse che incrementino il valore dell’attivo, almeno, del 10%.

Il contenuto della proposta, in verità, resta invariato rispetto all’art. 124 del RD 267/42: pertanto, può prevedere la suddivisione dei creditori in classi e il loro trattamento differenziato, il soddisfacimento non integrale dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purché per un valore non inferiore a quello di mercato dei beni o diritti sui quali grava la prelazione, secondo stime di un professionista indipendente, nominato dal tribunale tra gli iscritti all’albo dei soggetti incaricati dall’autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure.
Il trattamento delle varie classi non può, tuttavia, alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.

Si conferma, infine, la possibilità che la proposta possa prevedere anche la cessione delle azioni di pertinenza della massa, già autorizzate dal giudice delegato: il proponente può, inoltre, limitare il proprio impegno ai crediti ammessi al passivo, anche solo provvisoriamente, ovvero a quelli che hanno proposto opposizione o che hanno presentato una domanda tardiva al tempo della proposta.
Salvi gli effetti dell’esdebitazione, in presenza di tale limitazione di responsabilità, verso gli altri creditori continua a rispondere il debitore.