Si può procedere per equivalente nei confronti della persona fisica solo se è impossibile individuare il profitto diretto in capo all’ente
È legittima la confisca per equivalente nei confronti di beni nella disponibilità dell’amministratore di società quando questi sia condannato per reati fiscali e la società, pur reale beneficiaria del risparmio di imposta, sia nel frattempo fallita.
Questo il principio di diritto ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 24042 depositata ieri.
In via di principalità, il ricorrente, imputato del reato di cui all’art. 10-ter del DLgs. n. 74/2000 (“omesso versamento di IVA”) lamentava di essere stato, al di là del ruolo formale di amministratore, un semplice magazziniere della società debitrice, di cui era divenuto legale rappresentante, privo di compenso e senza alcun poter gestorio, perché indotto dal suo datore di lavoro.
Per la Cassazione, avere accettato la carica di legale rappresentante della società ed esserlo stato sia al momento della dichiarazione fiscale che alla scadenza del termine per il versamento del tributo comporta, comunque, l’acquisizione di una serie di obblighi, anche in materia tributaria, che non possono essere esclusi, se non in ipotesi – non dimostrata nel caso di specie – di un’illecita coartazione ad accettare la carica di amministratore e le relative funzioni.
La Suprema Corte ha, inoltre, ritenuto legittima la confisca per equivalente operata, nel caso di specie, sul patrimonio personale del ricorrente.
Infatti, ex art. 1 comma 143 della L. 244/2007, per tutti gli illeciti penali previsti dal DLgs. n. 74/2000 trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 322-ter c.p. relative, sia alla confisca “diretta” dei beni costituenti il profitto del reato, sia a quella “per equivalente”, avente ad oggetto i beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale profitto.
Profitto che deve essere inteso – secondo il richiamato principio espresso dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 18734/2013 e 10561/2014 – come qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione del reato, anche consistente in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo e di quanto dovuto a seguito dell’accertamento del debito tributario.
Si tratta, in entrambi i casi, di un’ipotesi di confisca obbligatoria, non subordinata al preventivo sequestro dei beni, che consegue necessariamente alla condanna per uno dei reati fiscali previsti nel DLgs. n. 74/2000, sino alla concorrenza del valore dell’imposta non versata, essendo poi compito dell’autorità giudiziaria individuare e vincolare, nella fase esecutiva, i beni ancora presenti nel patrimonio del condannato.
In questo senso si erano correttamente orientati, nel caso di specie, i giudici di merito che, nel distinguere tra confisca diretta e confisca per equivalente avevano ricondotto – in ossequio alla costante giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 25490/2014) – la prima a misura ablativa di un bene direttamente legato al reato e, quindi, pericoloso in quanto idoneo a mantenere vivo nel reo l’illecito; la seconda a una sorta di prelievo pubblico in compensazione di prelievi illeciti, con carattere sostanzialmente sanzionatorio avulso da un giudizio prognostico sulla pericolosità del bene.
Ne consegue che mentre per la confisca diretta occorre individuare i singoli beni che costituiscono il profitto del reato, nella forma per equivalente è sufficiente l’indicazione generica dell’ammontare del profitto senza che sia rilevante l’identità dei singoli beni da apprendere. Si deve comunque procedere alla confisca per equivalente quando la forma diretta di ablazione è impossibile (art. 322-ter c.p.).
In conclusione, la Suprema Corte ribadisce – in linea con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 10561/2014 – che nei procedimenti per reati tributari è possibile procedere alla confisca per equivalente nei confronti dell’imputato persona fisica solo qualora sia impossibile individuare il profitto diretto in capo all’ente, reale beneficiario del risparmio di imposta quale profitto del reato, potendo essere oggetto di confisca diretta anche il denaro liquido o gli altri beni nella disponibilità della persona giuridica.
Nel caso di specie, la società amministrata dal ricorrente risultava fallita così che all’atto della confisca si è proceduto – legittimamente per quanto argomentato dalla Corte – alla confisca per equivalente nei confronti del patrimonio personale della persona fisica ricorrente, per un valore corrispondente all’imposta evasa.