Il delitto di omessa IVA non è una «frode» e il legislatore italiano ha piena libertà di scelta
Il 22 ottobre 2015 è entrata in vigore la riforma del diritto penale-tributario operata dal DLgs. 158/2015; con un’ordinanza del 31 ottobre 2015 – subito successiva a tale riforma – il Tribunale di Varese ha richiesto un intervento della Corte di Giustizia Ue al fine di verificare la compatibilità con il diritto comunitario di alcune delle disposizioni introdotte.
In particolare, le questioni vertevano sul nuovo trattamento sanzionatorioriservato agli omessi versamenti. Tra le numerose novità normative, tale provvedimento ha, infatti, innalzato di molto le soglie di punibilità per i delitti di omesso versamento di ritenute e di IVA (artt. 10-bis e 10-ter del DLgs. 74/2000) e ha introdotto per questi – come per alcuni altri reati – una causa di non punibilità legata all’integrale pagamento del debito fiscale prima dell’apertura del dibattimento penale (art. 13 del DLgs. 74/2000).
Secondo il Tribunale, una soglia di punibilità pari a 250.000 euro per l’omesso versamento IVA non sarebbe compatibile con il limite fissato all’art. 2 della Convenzione PIF (Protezione degli Interessi Finanziari), che invece attesta la quota di tolleranza per le frodi fiscali a 50.000 euro; se, infatti, l’omesso versamento non può essere considerato frode, tuttavia il limite di 50.000 euro potrebbe essere considerato un indice più generale rispetto all’offensività (e, dunque, alla rilevanza penale) delle condotte in materia tributaria (violazione del “principio di effettività” delle sanzioni).
Per motivi analoghi, lo stesso giudice dubita che una causa di non punibilità come quella prevista dal nuovo art. 13 del DLgs. 74/2000 sia compatibile con il diritto dell’Unione.
Infine, ci si interroga sulle ragioni della differenza di soglie tra le due fattispecie omissive: 250.000 euro per l’omessa IVA e 150.000 euro per le omesse ritenute dovute o certificate (violazione del “principio di equivalenza” tra fattispecie).
I giudici di Lussemburgo si sono pronunciati ieri su tali questioni (nella causa C-574/15) sancendo, innanzitutto, che non si pone in contrasto con la normativa comunitaria il fatto che l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l’importo IVA non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a 250.000 euro (cfr. la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto).
Come la Corte Ue ha statuito anche in altre occasioni, al fine di garantire la riscossione integrale delle entrate provenienti dall’IVA e di tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta sulle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione di entrambe.
La libertà di scelta degli Stati membri è limitata solo laddove si tratti di “frodi gravi”; ma i giudici lussemburghesi escludono categoricamente che un reato omissivo, come quello disciplinato dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, possa rientrare in tale nozione. Qualora, infatti, un soggetto passivo abbia correttamente adempiuto i propri obblighi dichiarativi, l’amministrazione finanziaria dispone già dei dati necessari per accertare l’importo IVA esigibile e un eventuale omesso versamento della stessa.
Di conseguenza, sebbene sanzioni penali possano essere indispensabili per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinati casi di frode grave in materia di IVA, siffatte sanzioni non sono, a parità di importo, indispensabili per lottare contro gli omessi versamenti dell’IVA dichiarata.
È interessante notare in proposito come l’effettività e la dissuasività delle sanzioni italiane rispetto alle condotte di omesso versamento siano ritenute congrue avendo riguardo all’intero sistema, che prevede per le condotte sottosoglia sanzioni amministrative molto severe e applicabili anche alle persone giuridiche (tanto severe – va ricordato – che hanno sollevato numerose questioni di “ne bis in idem” laddove si cumulino alle sanzioni penali “soprasoglia”).
Nessun problema si pone, inoltre, rispetto al fatto che il legislatore nazionale scelga di tutelare diversamente (e più severamente) l’omissione delle ritenute rispetto all’IVA. Questi due reati, infatti, “non possono essere considerati simili per natura e importanza”, poiché essi “si distinguono tanto per i loro elementi costituitivi quanto per la difficoltà a scoprirli”. In particolare, l’omissione da parte di un sostituto d’imposta di ritrasferire all’amministrazione tributaria le ritenute alla fonte operate può, a causa del rilascio della certificazione, risultare più difficile da accertare dell’omesso versamento dell’IVA dichiarata; e ciò può comportare differenti scelte di politica criminale.