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Dalla natura di atto pubblico del modello F24 consegue che l’attestazione mendace in esso contenuta integra il reato di cui all’art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico).
Questo il principio di diritto ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 18803depositata ieri.
Nel caso di specie, l’imputato si vedeva contestare di avere falsamente attestato, in due modelli F24 relativi al pagamento di imposte per due annualità, di avere avuto autorizzazione da altro soggetto a portare in compensazione i crediti IVA di cui quest’ultimo era titolare.
Dalla sentenza in esame non si comprende in modo esauriente che operazione fosse stata addotta quale presupposto dell’operazione di pagamento (sulla delicata interpretazione della compensazione tributaria tra crediti e debiti di soggetti diversi si veda la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 140/2017), ma in realtà la questione penalmente rilevante è un’altra.
Vale a dire, la riconducibilità del mendacio alla fattispecie, oggi peraltro depenalizzata, di cui all’art. 485 c.p. (falsità in scrittura privata), come ritenuto dai giudici di merito; ovvero, come sostenuto dal soggetto terzo danneggiato costituitosi parte civile e qui ricorrente, al più grave reato di cui al citato art. 483 c.p.
La scelta dipende a tutta evidenza dalla natura che si vuole attribuire al documento F24. A seconda, infatti, della definizione dell’atto falsificato come atto pubblico, certificato o autorizzazione amministrativa, copia autentica o attestato o scrittura privata, infatti, mutano le figure delittuose applicabili, con rilevanti differenze in ordine al trattamento sanzionatorio applicabile.
Sul punto, diverse sono state le interpretazioni di legittimità che talora (Cass. n. 9146/2008) hanno individuato nei modelli F24 e nelle relative dichiarazioni di versamento mere scritture private, così che la loro falsità ideologica dovesse intendersi penalmente irrilevante.
Altrimenti ha ritenuto la Cassazione n. 36687/2008, per cui il documento è riconducibile non ad atto pubblico o certificazione amministrativa, ma ad attestato sul contenuto di atti, in quanto attestazione derivata dell’atto di versamento della somma dovuta di cui riporta gli estremi essenziali.
Con la sentenza in esame la Corte aderisce all’orientamento di gran lunga prevalente (da ultimo Cass. n. 50569/2013) per cui il modello F24 di versamento di somme a titolo di imposta presso gli sportelli delle banche delegate all’incasso costituisce atto pubblico perché esso, compilato dal privato e completato dagli addetti agli istituti di credito delegati per la riscossione delle imposte, funge, ai sensi dell’art. 19 DLgs. n. 241/1997, da attestazione di pagamento delle stesse, avvenuto alla presenza del dipendente della banca delegata, e costituisce la prova documentaledell’adempimento dell’obbligazione tributaria, con efficacia pienamente liberatoria del contribuente.
L’istituto bancario ha, quindi, gli stessi poteri attestativi che hanno i dipendenti dell’Amministrazione finanziaria e la ricevuta così rilasciata ha la medesima efficacia probatoria di quella che sarebbe stata formata da questi ultimi.
Il modello F24 non può, pertanto, essere un attestato del contenuto di un altro e diverso atto, ma è esso stesso l’atto di pagamento dell’imposta che incorpora l’incarico che il contribuente conferisce, con delega irrevocabile, alla banca delegata di trasferire all’Amministrazione finanziaria la somma contestualmente versata. Per le stesse ragioni, il documento non può essere ricondotto alla nozione di scrittura privata.
Ne consegue che il mendacio proposto nel modello F24 dal contribuente – nel caso di specie, l’essere stato autorizzato a dedurre dal proprio debito fiscale il corrispettivo credito di altro soggetto – non può che integrare, ad avviso della Corte, il reato di falsità ideologica in atto pubblico di cui all’art. 483 c.p.