Nonostante siano trascorsi ormai più di tre anni dalla sua entrata in vigore, la riforma della disciplina delle lettere di intento presenta ancora alcuni aspetti che meriterebbero qualche ulteriore chiarimento; ci riferiamo, in particolare, al regime sanzionatorio da applicare alle eventuali violazioni connesse alla trasmissione dei dati da parte dell’esportatore abituale nonché all’effettuazione di operazioni in regime di non imponibilità IVA da parte del fornitore.

Rimane, ad esempio, incerta la sanzione riferita alla circostanza in cui, in presenza di una dichiarazione d’intentocorretta e capiente in quanto a plafond disponibile, il fornitore abbia effettuato l’operazione secondo il regime di non imponibilità (art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/72) prima che l’esportatore abituale abbia trasmesso i dati della lettera d’intento all’Agenzia delle Entrate o, comunque, prima di averne avuto formale conoscenza.

La questione riguarda, nella sostanza, la corretta qualificazione della violazione in ipotesi come quelle appena descritte.
Si potrebbe, infatti, da un lato, sostenere che in tutte le circostanze in cui la dichiarazione di intento sia stata emessa nel rispetto dei presupposti richiesti dalla legge, la violazione in capo al fornitore sia di natura formale e si renda quindi applicabile la sanzione in misura fissa, da 250 a 2.000 euro, ai sensi dell’art. 7 comma 4-bis del DLgs. 471/97.

Diversamente opinando, la sanzione potrebbe, invece, essere quella proporzionale prevista dall’art. 7 comma 3 del DLgs. 471/97, la quale però – secondo il tenore letterale – risulta riferita solamente alle operazioni effettuate dal fornitore “in mancanza della dichiarazione d’intento”. In questo caso si tratterebbe di capire se il legislatore, adottando la locuzione “in mancanza”, abbia inteso riferirsi all’inesistenza del documento o, invece, alla mancata disponibilità temporanea dello stesso in capo al cedente o prestatore al momento di effettuazione dell’operazione.

A livello generale, dovrebbe essere comunque confermata la tesi in virtù della quale le due diverse fattispecie sanzionatorie (sanzione fissa ex art. 7 comma 4-bis e sanzione proporzionale ex art. 7 comma 3 sopra richiamati) risultano alternative.
Per regolarizzare l’operazione, ai fini dell’efficacia del ravvedimento ex art. 13 del DLgs. 472/97, non dovrebbe essere richiesto un nuovo invio della dichiarazione di intento da parte dell’esportatore abituale.

Una conferma indiretta in tal senso potrebbe aversi dall’esame del modello e delle relative istruzioni della dichiarazione d’intento, secondo cui sarebbe consentita unicamente la possibilità di procedere all’invio di una dichiarazione integrativa, nell’ipotesi in cui “prima di effettuare l’operazione, si intenda rettificare o integrare i dati di una dichiarazione già presentata (ad esclusione dei dati relativi al plafond, indicati nel quadro A)”.

Dichiarazione integrativa ammessa solo prima di effettuare l’operazione

D’altra parte, l’art. 1 comma 1 lett. c) del DL 746/83 è esplicito nel disporre che la lettera di intento, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, venga consegnata al fornitore o prestatore, ovvero in Dogana, “prima dell’effettuazione della operazione”. Il principio in base al quale la dichiarazione di intento deve comunque precedere il momento di effettuazione è ribadito dalla prassi amministrativa (C.M. 4 gennaio 1984 n. 3; R.M. n. 355235 del 1985; R.M. n. 470163 del 1990).

Per ulteriori ipotesi di irregolarità formali (ad esempio, un errore nel numero di partita IVA del destinatario), tuttavia, dovrebbe essere definita una modalità di invio della dichiarazione di intento che consenta la trasmissione anche successivamente alla chiusura dell’anno d’imposta per il quale la dichiarazione è efficace. Una previsione di questo tipo renderebbe più agevole la regolarizzazione da parte di coloro che intendono avvalersi del ravvedimento operoso, con conseguente possibilità di ridurre le sanzioni dovute.