Il Tribunale di Catania esclude la configurabilità di effetti automatici

In caso di fallimento di una società (nella specie, una srl) socia di una società di fatto, ai fini dell’estensione del fallimento all’altro socio della società di fatto (nella specie, una persona fisica) non può prescindersi dall’accertamento dello stato di insolvenza della società di fatto stessa. A precisarlo è il Tribunale di Catania nel decreto del 1° marzo scorso.

Nel caso di specie, il curatore del fallimento di una srl chiedeva l’estensione dello stesso a una persona fisica, ritenendo esistente tra questa e la srl una società di fatto. Ciò in quanto la c.d. affectio societatis poteva desumersi dal fatto che la persona fisica aveva: concesso in comodato gratuito alla srl, per consentirle di collocarvi la propria sede, un immobile di sua proprietà; concesso a favore della srl due fideiussioni e un pegno; eseguito alcuni bonifici in favore della srl privi di causa. Contro tale pretesa la persona fisica eccepiva la mancata allegazione e prova dell’esistenza: della società di fatto; della sua riferibilità a un’impresa commerciale; della relativa insolvenza.

Il Tribunale individua, quale punto di partenza per la soluzione della questione, l’art. 147 comma 5 del RD 267/1942, ai sensi del quale è possibile l’estensione del fallimento “qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile”. Tale norma – osserva il Tribunale di Catania – sancisce la fallibilitàdella società occulta e, contestualmente, dei suoi soci. I giudici, peraltro, non si soffermano sul fatto che, nella specie, il fallimento riguardi una srl e non un imprenditore individuale.

Ad ogni modo, si ricorda come la Cassazione n. 10507/2016 abbia precisato che l’art. 147 comma 5 del RD 267/1942 trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l’impresa è in realtà riferibile a una società di fatto tra il fallito e uno o più soci occulti, ma, in virtù di un’interpretazione estensiva, anche laddove il socio già fallito sia una società, anche di capitali, che partecipi, con altre società o persone fisiche, a una società di persone. E un’interpretazione che conduca all’affermazione dell’applicabilità della norma al solo caso di fallimento dell’imprenditore individuale, in essa espressamente considerato, risulterebbe in contrasto col principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. (cfr. anche Cass. n. 12120/2016).

A fronte di ciò, la Consulta n. 255/2017 ha stabilito che la disposizione in questione già vive e si riflette nell’interpretazione, costituzionalmente adeguata, che equipara la società di capitali all’impresa individuale ai fini dell’estendibilità del fallimento agli eventuali rispettivi soci di fatto. Di conseguenza, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione agli artt. 3 comma 1 e 24 comma 1 Cost.

Tornando al caso di specie, il Tribunale di Catania ritiene gli elementi sopra evidenziati idonei, nel loro complesso, a ravvisare una società di fatto tra la srl e la persona fisica. A questo punto, però, si pone il problema dell’estensione del fallimento dalla srl alla persona fisica. Si ricorda, quindi, come, con riguardo all’estensione del fallimento dell’imprenditore individuale, sia stato sottolineato, in modo condivisibile, che, ai fini dell’estensione ad altro socio della società di fatto cui il fallito partecipi, nell’ipotesi in cui le attività imprenditoriali risultino distinte, occorre accertare autonomamente l’insolvenza della società di fatto, potendo quella dell’imprenditore individuale fallito essere correlata a obbligazioni personali, con esclusione della responsabilità della società.

Sulla possibilità che una società di capitali partecipi, con altre persone fisiche o società, a una società di fatto, inoltre, la Cassazione n. 12120/2016 ha stabilito, tra l’altro, che: la partecipazione di una srl in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell’art. 2361 comma 2 c.c., dettato in tema di spa, e costituisce un atto gestorio proprio dell’organo amministrativo, il quale non richiede – almeno allorché l’assunzione della partecipazione non comporti una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale ex art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. – la previa decisione autorizzativa dei soci; l’efficace assunzione della partecipazione determina tutte le implicazioni conseguenti, compreso il possibile fallimento della società di fatto cui la srl abbia partecipato, e della srl stessa in estensione, ex art. 147 comma 1 del RD 267/1942, ovvero senza necessità dell’accertamento di una sua specifica insolvenza (Cass. n. 1095/2016).

E, quindi, se, nell’ipotesi in cui sia stato dichiarato il fallimento della società di fatto, non vi è necessità di accertare, ai fini dell’estensione ai soci, l’insolvenza degli stessi (c.d. fase discendente), trovando applicazione la disciplina dettata per le snc irregolari, in caso di fallimento di un socio della società di fatto, non può prescindersi dall’accertamento dello stato d’insolvenza della società di fatto (c.d. fase ascendente), o, quanto meno, del fatto che tra socio fallito e società di fatto vi sia identità d’impresa tale da rendere inutile un autonomo accertamento. Circostanza che, nella specie, era assolutamente priva di allegazioni; con conseguente rigetto del ricorso.