La prova contraria deve però riguardare la durata e il possesso dei fondi

Non è preclusiva all’accertamento sintetico la disponibilità di un patrimonio di ingente valore, ma il contribuente accertato può fornire la prova contraria attraverso idonea documentazione dimostrativa dell’entità e della durata del possesso di ulteriori redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, documentazione che può, ma non deve necessariamente, essere costituita dal rendiconto annuale della banca.
È quanto stabilito dalla Cassazione, con la sentenza n. 5738/2018.

È ormai consolidato l’orientamento della Suprema Corte sulla vecchia disposizione dell’art. 38, comma 4 del DPR 600/1973 (previgente formulazione), per cui l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior redditodeterminato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, e l’oggetto della prova contraria riguarda non solo la disponibilità di ulteriori redditi, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso.
Infatti, pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere).

In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di tali redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico; né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice transito nella disponibilità del contribuente (tra gli ultimi arresti, Cass. nn. 25996 e 9605 del 2017).

A fronte dei vecchi redditometri, quindi, spesso il contribuente ha opposto la semplice vendita di qualche cespite patrimoniale (azioni, immobili, automezzi), avvenuta magari qualche anno prima, per dimostrare le liquidità finanziarie utilizzate per mantenere i beni-indice di capacità contributiva e le eventuali spese contestate dall’Ufficio con l’accertamento.

Ciò, però, non è sufficiente, perché in tal modo il contribuente non prova il collegamento tra la disponibilità finanziaria così costituita e il possesso dei beni-indice (o le spese) che gli sono stati contestati dall’Ufficio, con riguardo alla durata del possesso di tale disponibilità fino agli anni in contestazione: infatti, con la sentenza n. 25045/2017, i giudici di legittimità hanno stabilito che, nel caso di specie, i proventi della vendita del 2001 non potevano giustificare le disponibilità del periodo 2006-2007 contestate dall’Ufficio.
Allora, è evidente che, come affermato anche dalla sentenza in commento, la circostanza che il contribuente abbia ricavato un’ingente somma dalla cessione di quote sociali avvenuta qualche anno prima di quelli in contestazione non è di per sé preclusiva all’accertamento sintetico.

Quale tipo di prova deve fornire, dunque, il contribuente che si trovi in tale situazione?
Come agevolmente desumibile dagli arresti di legittimità riportati, è innanzitutto la documentazione bancaria a farla da padrona in questi casi, perché, ad esempio, dagli estratti conto annuali è possibile verificare la permanenza dell’introito della cessione di quote sociali (o di altro cespite patrimoniale) sul conto corrente del contribuente fino al momento della spesa per il mantenimento dei beni-indice o delle spese contestati dall’Ufficio (nel caso di specie, immobili e auto di lusso).

Se la documentazione bancaria è forse quella chiave per dimostrare la durata del possesso degli “ulteriori redditi” che la norma consente di addurre a giustificazione del reddito sintetico accertato dall’Ufficio, è pur vero, tuttavia, come evidenziato dalla Cassazione con la sentenza in commento, che è sufficiente, ai fini della prova contraria, che il contribuente fornisca idonea documentazione da cui il giudice possa trarre indici sintomatici della riferibilità delle spese contestate a maggiori redditi esenti o tassati alla fonte, di cui lo stesso contribuente abbia avuto disponibilità nel periodo di imposta.

Principi ormai consolidati

Pertanto, come si legge nella parte motiva della pronuncia n. 5738/2018, il giudice tributario non può pretendere che venga fornito dal contribuente il rendiconto annuale della banca, da cui si desuma la ritenuta alla fonte sui redditi di capitale, escludendo a priori la valenza probatoria della diversa documentazione bancaria allegata e costituita da rendiconti riassuntivi trimestrali e altri documenti dimostrativi dei passaggi dei fondi dalle gestioni patrimoniali ai conti correnti familiari utilizzati, appunto, per le spese contestate dall’Ufficio.

Infine, va ricordato che nella nuova formulazione attualmente vigente dell’art. 38 del DPR 600/1973 non è più presente l’inciso ricorrente in quella previgente per cui “L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”, il che dovrebbe aprire a una forma di prova contraria maggiormente presuntiva e meno caratterizzata da una tracciabilità temporale e documentale dei fondi in questione.