Di Maurizio MEOLI

Ai sensi dell’art. 2383 comma 3 c.c., gli amministratori, anche se nominati nell’atto costitutivo, sono revocabilidall’assemblea (ordinaria) in qualunque tempo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa. Per la validità ed efficacia della delibera di revoca, quindi, non occorre né giusta causa, né motivazione.

Il codice civile non chiarisce cosa debba intendersi per “giusta causa” di revoca.
Ad ogni modo, la “giusta causa” di revoca è nozione distinta sia dal mero “inadempimento” che dalle “gravi irregolarità” di cui all’art. 2409 c.c. Essa riguarda circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, provocate o meno dall’amministratore stesso, che pregiudicano l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità. La giusta causa, cioè, attiene al rapporto di fiducia tra le parti (così Cass. n. 2037/2018).

Tra le ipotesi di giusta causa risulta dubbia, tra le altre, quella correlata alla modifica della compagine sociale, qualora la nuova maggioranza non si senta adeguatamente rappresentata dall’organo amministrativo (in senso affermativo si è espresso Trib. Treviso 20 aprile 2007. Contra, invece, Trib. Milano 12 maggio 2010. Il punto è dibattuto anche in dottrina).
In caso di revoca senza giusta causa, il danno risarcibile è, in genere, individuato in una somma di denaro pari a quella che l’amministratore avrebbe percepito fino alla scadenza naturale dell’incarico, salvo che circostanze concrete non lo escludano.

Esiste, poi, un caso di revoca implicita disciplinato direttamente dalla legge. Ai sensi dell’art. 2393 comma 5 c.c., la deliberazione con la quale l’assemblea di spa decide di promuovere l’azione di responsabilità contro gli amministratori determina la loro immediata revoca dall’ufficio qualora sia adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale (in questo caso, l’assemblea provvede alla sostituzione degli amministratori).
In tale ipotesi, chiaramente, all’amministratore sono imputati fatti dannosi per la società tali da “spezzare” il rapporto fiduciario esistente; non avrebbe, quindi, senso interrogarsi circa la configurabilità di una revoca dell’amministratore in assenza di una giusta causa. Si è, infatti, parlato di un precetto che riposa sulla presunzione assoluta che il voto sull’azione di responsabilità prestato da una frazione non trascurabile del capitale sociale implichi o sottintenda la lesione del vincolo fiduciario che lega i gestori al gruppo dei soci. Sarebbe, quindi, implicita la giusta causa di revoca.

Per il Tribunale di Milano del 22 marzo 1993, la revoca avrebbe effetto immediato, con l’assemblea stessa che dovrebbe provvedere alla sostituzione degli amministratori revocati. Ciò in quanto la prorogatio sarebbe contraria alla ratio stessa della disposizione. Se ciò non avviene, la nomina dei nuovi amministratori potrebbe essere deliberata da un’assemblea successiva alla cui convocazione sarebbe legittimato, quale facoltà residua, anche l’amministratore revocato (nega, invece, anche tale potere residuo Trib. Como 2 agosto 1999). In dottrina, peraltro, si reputa “sostenibile” una soluzione che consenta la permanenza in carica per il solo tempo necessario a provvedere alla relativa sostituzione.

Gli amministratori revocati sono legittimati ad impugnare la deliberazione che approva la proposizione dell’azione di responsabilità nei loro confronti (così Trib. Bologna 15 settembre 1992 e Trib. Bologna 28 ottobre 1992). Ciò non già per contestare la fondatezza della deliberata azione, ma per effettuare sulla deliberazione un controllo di stretta legittimità (regolare costituzione e sussistenza dei quorum deliberativi), risultando la revoca un effetto naturale di essa e non di una specifica volontà dell’assemblea (così Trib. Milano 8 febbraio 2006 n. 1466 e Trib. Bologna 15 settembre 1992). L’invalidità della deliberazione, comunque, pone nel nulla la revoca dall’ufficio ex art. 2393 comma 5 c.c., e travolge pure la conseguente deliberazione di nomina di nuovi amministratori (cfr. Trib. Bologna 15 settembre 1992).

Si è, peraltro, osservato come l’impugnazione dovrebbe anche ammettersi quando l’azione di responsabilità sia deliberata nell’interesse (particolare dei soci che l’hanno approvata) antitetico rispetto a quello sociale (abuso di maggioranza).
Si pensi, in particolare, all’ipotesi sopra ricordata del cambio di maggioranza. Per essa, come evidenziato, è dubbia l’esistenza di una giusta causa di revoca. La nuova maggioranza, quindi, potrebbe essere tentata di deliberare l’azione di responsabilità con revoca automatica dell’amministratore senza rischiare di dover corrispondere allo stesso i compensi residui. Magari prospettando, in futuro, una rinuncia alla azione. In tal caso, tuttavia, la decisione potrebbe essere viziata dall’abuso del potere della maggioranza. Circostanza che dovrebbe anche condurre ad una rivalutazione circa l’implicita presenza di una giusta causa revoca, con conseguente diritto alla corresponsione dei relativi compensi (analogamente a quanto accade nel caso di uso strumentale della clausola simul stabunt simul cadent). Tale deliberazione assembleare, inoltre, in presenza dei necessari presupposti, potrebbe essere sospesa(così Trib. Milano 26 luglio 1997).