Quanto all’elemento soggettivo, inoltre, potrebbe rilevare anche il mero dolo eventuale

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 943/2018, si sofferma sulla fattispecie di riciclaggio (art. 648-bis c.p.), quale reato istantaneo e di pura condotta che si consuma con la messa in atto della sostituzione o del trasferimento di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero con il compimento su di essi di altre operazioni che ostacolino l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

La “sostituzione” consiste nella messa in atto di una serie di operazioni bancarie, finanziarie o commerciali finalizzate a separare il compendio criminoso dal reato presupposto impedendone ogni possibile collegamento. Subito dopo il riferimento all’ipotesi generale rappresentata dal compimento di “altre operazioni”, inoltre, esiste l’inciso “in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”, che rileva per tutte le condotte (cfr. Cass. n. 1924/2016).
Si individua, infatti, l’effetto tipico del riciclaggio ovvero la dissimulazione dell’origine delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità. Non occorre, tuttavia, che l’ostacolo all’individuazione dell’origine del profitto sia effettivo e che sia venuto concretamente in essere, essendo sufficiente che la condotta di “ripulitura” del provento delittuoso dia luogo a una difficoltà nell’individuazione della provenienza dei beni. Non è allora necessaria un’oggettiva impossibilità di accertare l’origine criminosa dei valori trasferiti, essendo sufficiente una significativa insidiosità in tal senso.

Si ricorda, quindi, come il delitto in questione sia stato ravvisato anche in presenza del trasferimento di fondi tra conti correnti accesi presso lo stesso istituto di credito (cfr. Cass. n. 1924/2016, secondo la quale, ove l’imputato versi denaro contante, stante la fungibilità del bene, non può dubitarsi che il deposito in banca di denaro “sporco” realizzi automaticamente la sostituzione di esso, essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa quantità di denaro depositato). Inoltre, poiché il riciclaggio è costruito come una norma penale a più fattispecie, nelle ipotesi in cui il reato sia stato commesso mediante lo spostamento di fondi su conto corrente, il prelievo in contanti o il trasferimento del denaro da un conto all’altro costituiscono non già un mero post factum, bensì ulteriori modalità di commissione del delitto.

Più in generale, poi, si è osservato come si sia in presenza di un fatto di riciclaggio ogni qualvolta il singolo, ricevuta una somma di denaro provento di reato, lo reimpieghi mediante versamento su conti correnti bancari intestati a proprio nome con l’intento di mascherare l’effettiva provenienza dello stesso e con la consapevolezza che in tal modo sarebbe possibile reimmetterlo sul mercato per compiere attività finanziaria o immobiliare in modo da rendere più difficile l’accertamento della sua provenienza; per tal via, infatti, il denaro proveniente da reato perde la sua individualità e viene a confondersi con somme aventi provenienza lecita e depositate regolarmente presso la banca.

A fronte di ciò, si ritiene che anche un contratto preliminare avente ad oggetto la promessa di vendita di numerosi immobili facenti parte di un unico complesso, dietro immediata consegna di assegni per un considerevole importo, solo in parte restituito, costituisce, astrattamente, mezzo idoneo a realizzare la sostituzione di denaro di provenienza illecita e renderne difficile l’identificazione, a nulla rilevando la tracciabilità dell’operazione e la mancanza di effetti reali immediati, posto che, nella specie, una somma di denaro versata a mezzo assegni risultava comunque incamerata e non restituita a fronte del trasferimento della disponibilità dell’immobile.

Quanto all’elemento soggettivo del reato in questione, poi, è necessaria la consapevolezza della provenienza delittuosa del bene reinvestito e la volontà di ostacolare, con una condotta idonea, l’identificazione di tale provenienza. Tale profilo volontaristico (dolo generico) consente di distinguere il riciclaggio dalla ricettazione, posto che, per altri aspetti, l’elemento psicologico fra i due illeciti coincide: in particolare, con riferimento alla volontaria ricezione della cosa con la consapevolezza della sua provenienza criminale.

In giurisprudenza è stato, quindi, evidenziato come l’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio sia integrato dal dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni e nella consapevolezza di tale provenienza (cfr. Cass. n. 25924/2017). Precisandosi che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto, dolo specifico, ma per l’intenzione di far perdere le tracce dell’origine illecita, che, dunque, sembra non qualificabile come dolo specifico in ragione del fatto che l’ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa è elemento strutturale della fattispecie (cfr. Cass. nn. 6534/200019907/2009 e 1924/2016).

Si è pure chiarito, infine, che in tema di riciclaggio è configurabile il dolo eventuale quando l’agente si rappresenti la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto e investito (cfr. Cass. nn. 11491/2017 e 8330/2014).