Per la Cassazione è inoltre responsabile il legale rappresentante in carica al momento dello spirare del termine previsto dalla norma penale
L’omissione di ritenute (dovute o) certificate è una condotta anche penalmente perseguibile ai sensi dell’art. 10-bis del DLgs. 74/2000. Tuttavia, per la responsabilità penale vi sono presupposti in parte differenti rispetto alla normativa tributaria, con particolare riguardo al soggetto a cui l’omissione è riferibile.
Con la sentenza n. 2741 depositata ieri, la Cassazione si sofferma sulla possibile discrasia tra l’identità soggettiva del sottoscrittore della certificazione/dichiarazione e quella dell’autore dell’omissione, potenziale imputato nel procedimento penale.
Secondo la Corte, il tenore letterale della fattispecie incriminatrice fa sì che la certificazione delle ritenute (ovvero la loro dichiarazione) rilevi solo quale fatto che qualifica l’oggetto materiale della condotta omissiva (le ritenute appunto), senza identificare strettamente l’ambito soggettivo di applicazione: in tal senso, l’obbligo del versamento delle ritenute non riguarda soltanto colui che le ha certificate e/o dichiarate.
Ciò costituisce l’inevitabile conseguenza dello scollamento tra il “termine lungo” previsto nella fattispecie penale (corrispondente al termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta) e quello “ordinario/periodico” (il giorno 16 del mese successivo alla corresponsione della retribuzione) previsto dalla norma tributaria (art. 18 del DLgs. 241/1997).
Ne consegue che penalmente responsabile dell’omesso versamento è il legale rappresentante in carica al momento dello spirare del termine, a prescindere dal fatto che ricoprisse o meno tale carica al momento della presentazione della dichiarazione di sostituto di imposta ovvero della sottoscrizione del rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Ciò deriva dalla natura istantanea e unisussistente del reato di omesse ritenute, che si consuma alla data di scadenza del termine previsto dalla norma, “non un momento prima”.
Le stesse Sezioni Unite avevano già osservato in proposito che il comportamento omissivo del contribuente non è penalmente rilevante fino alla data normativamente stabilita per la dichiarazione annuale del sostituto di imposta; e su tale distinzione fondavano anche il possibile “cumulo” di sanzioni penali e tributarie rispetto all’art. 13 comma 1 del DLgs. 471/1997 (Cass. SS.UU. n. 37425/2013).
Sempre dal punto di vista dei soggetti destinatari della norma, la sentenza si sofferma anche sul possibile concorso dei diversi componenti del consiglio di amministrazione della società che ha omesso le ritenute.
Secondo la Cassazione, i singoli amministratori non sono chiamati a rispondere del reato omissivo in conseguenza dell’applicazione dell’art 40 comma 2 c.p., cioè quali garanti dell’adempimento altrui, bensì quali destinatari diretti dell’obbligo di versamento.
Trattandosi nel caso di specie di società a responsabilità limitata, l’ordinaria amministrazione era, infatti, affidata a più persone disgiuntamente e, perciò, ciascun amministratore va considerato autonomamente e singolarmente in grado di porre in essere gli atti estintivi delle obbligazioni che impegnano la società (ai sensi degli artt. 2475 comma 3 e 2257 c.c. ).
Il pagamento dell’obbligazione tributaria, peraltro, costituisce atto giuridico che qualunque amministratore può validamente compiere, non trattandosi di atto di gestione in senso stretto. La suddivisione interna di competenze, oltre a non essere opponibile ai terzi, non limita la capacità del singolo amministratore di compiere atti giuridici estintivi delle obbligazioni, a maggior regione se – come nel caso concreto – al presidente del consiglio di amministrazione non era stata conferita alcuna specifica delega tributaria.
Resta salva, comunque, sia per l’amministratore “subentrato”, sia per gli altri componenti del Consiglio, la necessità dell’accertamento dell’elemento soggettivo doloso (coscienza e volontà) rispetto all’omissione.
Sul piano oggettivo, viene invece posta in evidenza la recente modifica apportata dal legislatore all’art. 10-bis del DLgs. 74/2000, che ha esteso la fattispecie penale anche alle ipotesi di omesso versamento delle ritenute “dovute sulla base della stessa dichiarazione” (art. 7 comma 1 lett b) del DLgs. 158/2015) e ha conseguentemente mutato il titolo del reato da “omesso versamento di ritenute certificate” a “omesso versamento di ritenute dovute o certificate”. Tale modifica ha tentato di porre fine a un acceso dibattito sulla rilevanza probatoria del c.d. modello 770.
Secondo la sentenza in commento, non è comunque esclusa la valenza indiziaria della dichiarazione del sostituto d’imposta che, se non può assurgere a prova del reato di omesso versamento delle ritenute certificate, tuttavia può costituirne indizio sufficiente per l’adozione di un provvedimento cautelare reale, quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (Cass. n. 48591/2016).