La Cassazione si sofferma sull’istituto precisandone talune caratteristiche

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 53625, depositata ieri, si sofferma su talune caratteristiche della c.d. confisca “allargata”, sottolineandone correlazioni e differenze rispetto alla c.d. confisca “di prevenzione”.

Ai sensi dell’art. 12-sexies del DL 306/1992, nei casi di condanna o di patteggiamento per una serie di gravi reati (ad es. il riciclaggio), è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. “In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale” (periodo inserito dalla L. 161/2017). Si tratta della c.d. confisca “allargata”.

La confisca di prevenzione, che è fondata sulla pericolosità del soggetto, è, invece, contemplata dall’art. 24 del DLgs. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia), nel quale si stabilisce che il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento di prevenzione non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, “nonché” dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. “In ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale” (periodo inserito dalla L. 161/2017).

La sentenza in commento ricorda come la Cassazione a Sezioni Unite n. 33451/2014(come “precisata” da Cass. SS.UU. n. 46837/2014), sulla disciplina anteriore alle modifiche della L. 161/2017, abbia stabilito che, ai fini della confisca di cui all’art. 24 del DLgs. 159/2011, per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, non si debba tener conto anche dei proventi dell’evasione fiscale. In pratica, i proventi dell’evasione non sono deducibili al fine di giustificare la sproporzione.

Ad ogni modo, in entrambe le ipotesi di confisca occorre la stessa prova della disponibilità indiretta del bene in capo all’indagato/imputato/condannato. Se il bene che si assume illecitamente acquistato risulta intestato a terzi, occorre dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente solo per favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Il giudice deve, quindi, spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze di valore indiziario, ma elementi fattuali caratterizzati da gravità, precisione e concordanza, in modo da costituire una prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene.

Quanto alla prova liberatoria della lecita provenienza dei beni, necessaria per evitare il provvedimento ablatorio, la decisione in commento evidenzia come si tenda a consolidare, con riguardo alla confisca “allargata”, un’interpretazione secondo cui non sarebbe richiesta una giustificazione qualificata della legittima provenienza dei beni, ma un’attendibile e circostanziata giustificazione, che il giudice deve valutare in concreto, secondo il principio della libertà di prova e del libero convincimento. Tesi che ha come presupposto la ricostruzione dell’istituto in termini di conformità alla Costituzione, avendo esso introdotto una mera “presunzione relativa” di illecita accumulazione patrimoniale (cfr. Cass. n. 5452/2010).

Sempre con particolare riguardo alla confisca allargata, si evidenzia come la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato vada circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano palesemente estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione (Cass. n. 41100/2014). Analogamente, la confisca in questione non può essere disposta in relazione a beni acquistati dal condannato dopo la sentenza di condanna, giacché, da un lato, si vanificherebbe ogni distinzione della disciplina di tale tipo di confisca con quella delle misure di prevenzione e, dall’altro, si attribuirebbero al giudice dell’esecuzione compiti di accertamento tipici del giudizio di cognizione (Cass. n. 12047/2015).
Occorre, infine, considerare che la decisione che esclude la “prevenzione” patrimoniale ex art. 24 del DLgs. 159/2011 ha effetto preclusivo su un eventuale procedimento avente a oggetto gli stessi beni e in danno della stessa persona, ma per la confisca ex art. 12-sexies del DL 306/1992, in mancanza di deduzione di fatti nuovi modificativi della situazione definita (Cass. n. 48173/2013).