Viene comunicato il disconoscimento dell’integrativa mediante «avviso bonario»

In questi giorni, l’Agenzia delle Entrate sta comunicando ai contribuenti il disconoscimento della dichiarazione integrativa con cui, in sostanza, il contribuente ha inteso annullare la precedente dichiarazione ai fini IRAP ritenendo non sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione.

L’atto che viene notificato potrebbe, in un certo senso, definirsi atipico, consistendo in una sorta di avviso bonario mediante il quale viene esternato che l’integrativa, in realtà, non è tale siccome non integra bensì annulla una pregressa dichiarazione. Per la menzionata ragione, l’integrativa non viene riconosciuta e viene fatto presente che la maggiore IRAP che il contribuente ritiene indebitamente versata potrà essere chiesta a rimborso entro il termine dei 48 mesi di cui all’art. 38 del DPR 602/73.

Detta interpretazione si ritiene eccessivamente formale: vero è che l’art. 2 comma 8 parla di “integrativa” per correggere “errori” oppure “omissioni”, ma è del pari vero che nel concetto di “errore” agevolmente può ricomprendersi il fatto di aver presentato una dichiarazione in assenza del presupposto impositivo.
Poi, tutto contrasta con l’efficienza dell’azione amministrativa: se il Fisco ritiene sussistente l’autonoma organizzazione, semplicemente notifica un accertamento oppure, in caso di compensazione nel modello F24 del credito da integrativa, un avviso di recupero del credito d’imposta, o ancora una cartella di pagamento se l’errore emerge in sede di liquidazione automatica della dichiarazione.
Ove la tesi erariale sia ritenuta fondata dal contribuente e/o dal giudice, oltre al recupero di imposta e interessi l’Erario incasserebbe anche le sanzioni addirittura nella misura dal 100% al 200%, se si ritiene il credito inesistente (in quanto difettante dei presupposti costitutivi).

Di certo risulta poco condivisibile il disconoscimento dell’integrativa sulla base dell’interpretazione (oltre modo) formale del comma 8 dell’art. 2 del DPR 322/98, con “invito” a esperire la procedura di rimborso. Procedura che, tra l’altro, in vari casi non porterebbe a nulla visto che i 48 mesi, decorrendo, secondo consolidata giurisprudenza, dal versamento del primo acconto e non del saldo, sarebbero ormai decorsi (Cass. 14 ottobre 2016 n. 20783).

Ma, tralasciando ciò, due sono i problemi che i contribuenti devono affrontare.
In primo luogo, ci si deve chiedere se detto “avviso bonario” sia o meno impugnabile: la risposta potrebbe rinvenirsi nella teoria dell’impugnazione facoltativa.
Ci sono spazi per sostenere che mediante questo atto il contribuente sia portato a conoscenza di una pretesa tributaria definita, che consiste nel disconoscimento dell’integrativa, e, nonostante non sia espressamente scritto, dell’imminente notifica di un ulteriore atto che consisterà nel disconoscimento della compensazione.
Nella maggioranza delle ipotesi, non si ha però interesse all’impugnazione immediata di tale atto, anche perché sarebbero poi destinati a emergere i problemi di raccordo processuale con il ricorso avverso il successivo atto di recupero del credito d’imposta o avverso la cartella di pagamento.

Atto facoltativamente impugnabile

Nonostante il ricorso contro l’avviso bonario, comunque l’atto di riscossione o di recupero del credito dovrà essere emesso (pena la formazione della decadenza), quindi il contribuente si vedrebbe costretto a ricorrere nuovamente e a gestire il talvolta non facile raccordo tra le due cause.
Quindi, si ritiene maggiormente proficuo attendere il successivo atto impositivo per adire il giudice tributario (senza contare che il giudice potrebbe comunque ritenere non impugnabile l’avviso bonario e dichiarare quindi inammissibile il ricorso).

Il secondo profilo attiene alla tutela del contribuente nel ricorso: non ci sono dubbi che egli possa difendersi dimostrando l’assenza di autonoma organizzazione. Ormai, è consolidato l’orientamento in ragione del quale se si dichiara l’IRAP ma poi non la si versa, nel ricorso contro il ruolo ci si può difendere censurando a monte il presupposto impositivo (Cass. 7 luglio 2017 n. 16747).
Queste conclusioni non possono che valere pure a seguito di disconoscimento dell’integrativa.
Le sanzioni da indebita compensazione irrogate dovrebbero essere pari al 30%, trattandosi di credito non spettante, nella misura in cui l’avviso di recupero del credito (o altro atto impositivo) sia basato solo sul disconoscimento dell’integrativa, e non sulla presenza dell’autonoma organizzazione.