Confisca per sproporzione orientata sull’autore materiale del reato tributario

Di Alfio CISSELLO e Maurizio MEOLI

Nel corso di Telefisco 2020, l’Agenzia delle Entrate ha preso definitivamente atto del fatto che, in esito alle novità apportate dal DL 124/2019 convertito, anche per le dichiarazioni fraudolente è divenuto possibile ottenere la non punibilità per il tramite del ravvedimento operoso, invitando, peraltro, al puntuale rispetto del dato normativo, soprattutto con riguardo all’assenza della formale conoscenza dell’avvio di attività di controllo ovvero di procedimenti penali.
Si osserva, inoltre, come, in sede di ravvedimento formino oggetto di autonoma regolarizzazione anche le cosiddette violazioni prodromiche, ad esempio inerenti all’infedele fatturazione o all’indebita detrazione in sede di liquidazione periodica.

Appare chiaro, comunque, che, ai fini della causa di non punibilità, è sufficiente che il contribuente abbia ravveduto la violazione da dichiarazione “infedele”, presentando l’integrativa e pagando imposte, interessi legali e sanzioni del 90% ridotte ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 472/97 e dell’art. 1 del DLgs. 472/97. L’eventuale mancato ravvedimento sulle violazioni prodromiche non incide sulla causa di non punibilità, potendo comunque legittimare l’irrogazione della sanzione ad opera dell’Agenzia delle Entrate.

Si pone, peraltro, il problema della posizione dell’emittente delle false fatture utilizzate nella dichiarazione fraudolenta oggetto di ravvedimento operoso, che rischia di essere sostanzialmente denunciato dal soggetto che decide di ripresentare la dichiarazione escludendo i costi correlati alle false fatture. Rispetto a tale profilo la GdF osserva come chi si ravvede non sia tenuto a dichiarare in modo puntuale i motivi per cui ha inteso rettificare in aumento il proprio reddito (e dalla dichiarazione non emerge il nominativo dell’emittente). Quindi, in base alle notizie rese disponibili, in prima battuta, all’Amministrazione finanziaria, la dichiarazione integrativa non presenta ricadute dirette e immediate nei confronti dell’emittente delle fatture, permanendo in capo agli organi di controllo l’onere di dimostrare la responsabilità penale di quest’ultimo.
È chiaro, tuttavia, che ove, per qualsiasi ragione, l’Agenzia delle Entrate o la GdF in veste di polizia tributaria o giudiziaria dovessero controllare l’annualità per la quale la dichiarazione integrativa è stata presentata, le falsità, per quanto “rimediate”, emergerebbero, e la posizione dell’emittente sarebbe inevitabilmente compromessa.

Quanto alla concreta operatività della confisca “allargata” o “per sproporzione” nel caso in cui il reato tributario presupposto dovesse essere commesso dal rappresentante legale di una società, la GdF sottolinea come la verifica del requisito della sproporzione debba essere operata esclusivamente sul legale rappresentante; come accade per la sanzione penale principale prevista per le singole fattispecie delittuose, infatti, anche tale misura colpisce sempre e soltanto l’autore del reato e non anche l’ente di appartenenza.
Di conseguenza, qualora dovesse essere accertata una situazione di squilibrio economico-reddituale tra i beni del patrimonio personale del legale rappresentante (condannato) e le sue disponibilità ufficiali, la confisca potrà riguardare solo beni di tale patrimonio personale e non anche quelli dell’ente.

A tali fini verranno considerati e quantificati anche tutti gli investimenti posti in essere dal condannato in un arco temporale “ragionevolmente prossimo” alla data di commissione del reato, comprese le eventuali somme versate nella società a titolo di capitale di rischio (tramite conferimenti o partecipazioni a successivi aumenti di capitale), che, sul piano patrimoniale, corrispondono alla titolarità di una partecipazione nella stessa società sotto forma di quote o azioni.

Tutto ciò, peraltro, vale solo in linea di principio, dovendosi tenere conto delle circostanze concrete e, soprattutto, delle reali caratteristiche dell’ente coinvolto. In particolare, osserva la GdF, qualora dovesse trattarsi di costruzioni giuridiche artificiose e di strutture interposte nella titolarità di beni, l’accertamento della sproporzione dovrà sempre essere effettuato in capo all’autore materiale del reato fiscale, ma tenendo conto sia del suo patrimonio personale che di quello intestato (fittiziamente) all’ente.

Diversa la situazione che si presenta nell’ipotesi in cui i reati tributari dovessero risultare integrati nell’ambito di organizzazioni societarie complesse, connotate da una netta separazione tra l’assetto proprietario e quello amministrativo (ad esempio, nel caso di spa con azionariato diffuso).

In questi casi, di norma, è la società a conseguire il profitto del reato fiscale, per cui, in modo maggiormente appropriato, l’azione ablativa dovrebbe orientarsi sui beni della stessa applicando le disposizioni in tema di responsabilità amministrativa degli enti di cui al DLgs. 231/2001. Sempre per effetto delle novità apportate dal DL 124/2019 convertito, infatti, i reati per i quali è possibile ricorrere alla confisca “allargata” o “per sproporzione” sono anche presupposto della responsabilità 231, con applicabilità della confisca, anche nella forma per equivalente, dei beni della persona giuridica che da essi ha tratto vantaggio ex artt. 19 e 53 del DLgs. 231/2001.