La Cassazione rilegge i chiarimenti dell’Agenzia nella risposta a consulenza giuridica n. 1/2019 riconoscendo la cedibilità del credito IVA «futuro»

Di Fabio Tullio COALOA e Andrea BONARIA

Con sentenza n. 27278/2019, la Cassazione si è pronunciata sull’annoso tema della cessione del credito IVA prima dell’esposizione dello stesso nella dichiarazione annuale del cedente, ammettendone la validità e precisandone l’efficacia nei confronti dell’Erario a partire dal momento in cui il credito viene a esistenza secondo le norme tributarie.

Nella vicenda in esame una società cessionaria di un credito IVA – in seguito incorporata nella stessa cedente che poi ha coltivato il contenzioso – veniva raggiunta da una cartella di pagamento per omesso versamento IVA, motivata sul rilievo per cui al compimento delle formalità relative alla cessione, inclusa la notifica all’Erario, la cessionaria non aveva ancora presentato la dichiarazione IVA annuale con richiesta di rimborso di detto credito.

La norma di riferimento è l’art. 5 comma 4-ter del DL 70/1988, che prende in considerazione la cedibilità del credito “risultante dalla dichiarazione annuale” – oltre che, dopo la riforma di cui all’art. 12-sexies commi 1 e 2 del DL n. 34/2019, anche di quelli di cui è stato “chiesto il rimborso in sede di liquidazione trimestrale”, dal 1° gennaio 2020. Tra gli adempimenti necessari al perfezionamento della cessione vi sono altresì la redazione di atto pubblico o scrittura privata autenticata, con obbligo di notifica al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 69 del RD 2440/1923, e la precisazione sull’esatta individuazione delle parti e dell’importo a credito ceduto (ris. n. 103/2006).

Ciò detto, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, criticandone l’eccessivo formalismo e confermando a chiare lettere la propria giurisprudenza che aveva ammesso la cedibilità del credito IVA non ancora chiesto a rimborso, argomentando a partire dalla regola della libera cedibilità dei crediti futuri, desumibile dall’art. 1348 c.c., a condizione che sussista il rapporto giuridico di base alla data della cessione.

In particolare, posto che le dichiarazioni fiscali non sono atti negoziali o dispositivi – salvo che per la parte in cui esprimano l’esercizio di un’opzione, principio valido sia per l’IVA (ex multis Cass. n. 18757/2014) che per le imposte dirette (ex multis Cass. n. 31061/2018) – e non costituiscono il titolo giuridico dell’obbligazione tributaria (Cass. n. 29738/2008), ai fini della cessione del credito IVA rileva la qualità di soggetto passivo del cedente, quale premessa per la determinabilità dell’oggetto del contratto di cessione ex art. 1346 c.c.: di qui, la natura consensuale del contratto di cessione del credito ne comporta subito il perfezionamento giuridico a cui, tuttavia, non sempre si accompagna il trasferimento immediato dal cedente al cessionario, che è posticipato alla data in cui il credito viene a esistenza (Cass. n. 8333/2001).

Pertanto, “una volta osservati gli adempimenti formali richiesti dalle regole di contabilità generale dello Stato, la cessione del credito «futuro» produce nei confronti del Fisco i medesimi effetti previsti dalla normativa civilistica, ossia l’efficacia obbligatoria di detta cessione, mentre il conseguente trasferimento del credito si verifica esclusivamente quando il credito fiscale viene ad esistenza, senza che possa essere considerata causa ostativa all’efficacia dell’atto di cessione il fatto che il credito (quantificabile) non sia ancora stato chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale al momento dell’atto di cessione” (Cass. n. 13027/2015).

A questo punto, la Cassazione evidenzia l’equivoco a cui conduce una certa interpretazione della risposta a consulenza giuridica n. 1/2019 (e della ris. n. 279/2002) nella parte in cui richiama la disciplina di cui all’art. 5 comma 4-ter del DL 70/1988, che, appunto, si riferisce alla cessione del credito IVA chiesto a rimborso: tale rinvio vale, infatti, ai fini della procedura di rimborso di cui all’art. 38-bis del DPR n. 633/1972, rispetto alla quale il profilo della cedibilità del credito e del relativo regime di efficacia sta “a monte” e costituisce la regola generale non derogata dalle norme IVA.

Va detto che, però, l’Agenzia aveva indotto gli operatori a non ritenere possibile la cessione del credito tributario prima dell’indicazione in dichiarazione per esigenze di certezza e trasparenza, posto che l’Erario non potrebbe sapere se quel credito venga o meno utilizzato in compensazione di eventuali debiti tributari: a ogni modo, la Suprema Corte ha evidenziato come la risposta n. 1/2019 abbia riconosciuto che la cessione preventiva è valida tra le parti.

Infine, è stato rilevato che l’incorporazione della cessionaria del credito nella cedente avrebbe consolidato l’effetto traslativo della cessione all’atto delle rispettive dichiarazioni IVA annuali: l’incontestato rispetto, nel caso di specie, dei requisiti sostanziali per la detrazione anche in assenza di dichiarazione per il periodo di maturazione del credito osterebbe al recupero del medesimo a mezzo cartella (Cass. SS.UU. n. 17757/2016).