Solo un provvedimento di sgravio renderebbe privo di giustificazione il mantenimento del sequestro in assenza dell’attualità della pretesa erariale

Di Maria Francesca ARTUSI

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca è un provvedimento cautelare che si inserisce all’interno del procedimento penale e ha generalmente a oggetto le “cose di cui è consentita la confisca”, ovvero il prezzo, il prodotto o il profitto del reato.
Particolari problematiche nascono allorché il reato contestato sia una delle fattispecie previste dal DLgs. 74/2000, in quanto in queste ipotesi è necessario un coordinamento con la disciplina fiscale.

È stato, così, precisato che il profitto, confiscabile anche per equivalente, di un delitto tributario va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria. In tali ipotesi, dunque, non è possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione (Cass. nn. 355/2019, 19994/2017 e 39187/2015).
Siffatto sgravio, infatti, renderebbe privo di qualsiasi giustificazione il mantenimento del sequestro in assenza dell’attualità della pretesa erariale.

Si ricorda, al riguardo, che lo sgravio è qualcosa di completamente diverso dall’annullamento della cartella da parte di un giudice o dello stesso agente della riscossione, dal momento che esso proviene dall’ente impositore il quale, in tal modo, formalizza la cancellazione della propria pretesa.

Il provvedimento di sgravio fiscale emesso dall’Agenzia delle Entrate ha in verità natura di atto pubblico fidefacente ed è costitutivo dell’effetto di estinzione del debito erariale (Cass. n. 34912/2016). Il provvedimento di sgravio – di regola legittimamente emanato dal funzionario dell’Agenzia delle Entrate a ciò deputato dalle disposizioni organizzative interne – comprova l’attività di esame dei documenti e delle motivazioni addotte dal contribuente svolta dal funzionario responsabile della pratica, esprime la sua valutazione tecnica ed è costitutivo del consistente effetto estintivo del debito erariale nei confronti del contribuente e, pertanto, è inquadrabile a pieno titolo categoria degli atti pubblici.
Esso ha, cioè, una funzione certificativa circa le attività di esame e valutazione svolte dal funzionario pubblico, appartenenti alla sua sfera di attribuzioni e competenze attestate nel provvedimento.

Sul rapporto tra pretesa fiscale e sequestro penale, è tornata la giurisprudenza della Corte di Cassazione – dapprima con la sentenza n. 28575 del 2 luglio scorso e, ancora più di recente, con la sentenza n. 36309 del 21 agosto – precisando che nei reati tributari è ammesso il sequestro preventivo anche se la Commissione tributaria ha annullato la pretesa fiscale. Solo un provvedimento di sgravio può giustificare l’annullamento della misura cautelare, facendo venir meno – come si è detto – qualunque giustificazione del sequestro. Venendo meno la pretesa erariale, la misura cautelare diventa così illegittima poiché finalizzata alla confisca di un profitto in realtà inesistente perché annullato dall’ente impositore.

In particolare, nel procedimento affrontato dalla citata pronuncia n. 36309, il ricorrente adduceva il venire meno della pretesa tributaria traendo spunto da una decisione della Commissione tributaria, in relazione a un annullamento della cartella di pagamento intervenuto per un vizio formale del procedimento.

Nel caso di specie, il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata era indagato per il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 ed era stato conseguentemente disposto il sequestro preventivo per un importo pari a 383.240 euro. Costui aveva chiesto la revoca di tale provvedimento ritenendo che fossero venuti meno sia il profitto che il prezzo del reato a seguito del rilevato vizio formale della cartella di pagamento. Ciò, però – ribadisce la Cassazione – non esplica nessuna influenza sulla pretesa creditoria dell’Amministrazione finanziaria.

Il principio che se ne ricava è, dunque, quello per cui la sentenza non definitiva della Commissione tributaria che annulla per vizio formale la cartella relativa a omessi versamenti IVA non fa venir meno la pretesa erariale con la conseguenza che il sequestro preventivo operato in sede penale è legittimo.