Gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale

Di Andrea FORTUNAT

La sentenza n. 23792 della Corte di Cassazione, pubblicata ieri, riguarda il caso di un lavoratore autonomo che, oltre a svolgere l’attività d’impresa che aveva dato luogo alla sua iscrizione nella relativa gestione previdenziale, era percettore di utili, in relazione ai quali non era stata aperta alcuna posizione previdenziale.
Da tale situazione era derivata la pretesa dell’INPS di assoggettare a contribuzione anche il reddito da partecipazione alla società di capitali di cui il medesimo era socio, pur in assenza dell’espletamento di attività lavorativa da parte sua all’interno della società medesima.

Secondo l’Istituto, infatti, i contributi previdenziali dovuti dai soggetti aventi tutti i requisiti di legge per essere iscritti alla gestione previdenziale dei lavoratori autonomi dovrebbero essere calcolati non solo sul reddito prodotto dall’attività commerciale o artigiana che ha dato luogo all’iscrizione, ma anche su tutti gli altri eventuali redditi conseguiti dal contribuente nel periodo fiscale di riferimento, senza distinzione alcuna tra redditi d’impresa (cioè derivanti da partecipazione in società di persone di natura commerciale) e redditi di capitale (cioè derivanti da partecipazione a società di capitali con personalità giuridica).

Una diversa impostazione ermeneutica, sempre secondo l’INPS, si porrebbe in contrasto con la lettera dell’art. 3-bis del DL 384/1992, ai sensi del quale “a decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990 n. 233 è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza che si commenta, respinge la tesi dell’INPS sul presupposto che la normativa previdenziale suddetta individua come base imponibile sulla quale calcolare i contributi la totalità dei redditi di impresa così come definita dalla disciplina fiscale e tenuto conto che, secondo il Testo unico delle imposte sui redditi, gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale.
Ne consegue, pertanto, secondo la Suprema Corte, che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS.

Si rileva poi che i giudici di legittimità ritengono tale interpretazione coerente con il sistema delineato dall’art. 38, secondo comma della Costituzione, che prevede che la tutela previdenziale spetti ai lavoratori e non a coloro che si limitino a investire i propri capitali a scopo di utile, escludendo che la tendenza all’ampliamento della base contributiva possa forzare i limiti di tale sistema.

Secondo la Cassazione, infine, l’interpretazione resa dall’INPS si porrebbe in contrasto con il parallelismo, voluto dal legislatore, tra disciplina fiscale e disciplina previdenziale.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte si pronuncia in senso conforme alla precedente pronuncia n. 21540 del 20 agosto scorso sulla medesima questione, già oggetto di diversi interventi da parte delle Corti di merito: al riguardo si rinvia, in particolare, alla sentenza della Corte di Appello dell’Aquila n. 752 del 25 giugno 2015 e alla più recente sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1687 del 6 novembre 2018.