Il Codice della crisi risolve la dibattuta questione sui presupposti di ammissibilità

Di Chiara CRACOLICI e Alessandro CURLETTI

Ai sensi dell’art. 6, comma 1 della L. n. 3/2012, le procedure di sovraindebitamento sono state introdotte, con la finalità di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse. Tale principio è stato tradotto in uno dei presupposti di ammissibilità della domanda. Nello specifico, ai sensi del combinato disposto degli artt. 7, comma 2, lett. a) e 14-ter, comma 1, la proposta di accordo o piano o la domanda di liquidazione non è ammissibile quando il debitore, anche consumatore, sia soggetto a procedure concorsuali diverse.

Sulla scorta di tale principio, il Tribunale di Treviso, con decreto del 9 dicembre 2015, ha omologato una proposta di accordo presentata da un ente pubblico (IPAB), ritenendo integrato il presupposto di ammissibilità di cui al menzionato art. 7, consistente nella non soggezione a diversa procedura concorsuale. Il decreto in esame ha affrontato la questione sostenendo che “la legge sul sovraindebitamento ha carattere di chiusura del sistema ed è quindi applicabile in tutte le situazioni per le quali l’ordinamento non appronta una specifica regolamentazione; le norme invocate dagli opponenti non prevedono il risanamento dell’ente, ma solo la sua definitiva eliminazione dal sistema, mediante liquidazione e soppressione”.

In altri termini, il decreto ha ritenuto ammissibile la proposta sulla base di due argomentazioni: la L. n. 3/2012 è applicabile in tutte le situazioni in cui l’ordinamento non appronta una specifica regolamentazione, talché, considerato che, quanto alle IPAB, l’ordinamento altro non ha contemplato se non procedure che prevedano la definitiva eliminazione dal sistema dell’ente, mediante liquidazione e soppressione, senza disciplinare una procedura di risanamento, questo può essere perseguito solo attraverso gli strumenti approntati dalla L. n. 3/2012; il fatto che l’ente pubblico si avvalga di una procedura che preveda l’intervento dell’autorità giudiziaria non comporta il rischio di un’interferenza tra diversi poteri, essendo il giudice chiamato a effettuare solo un controllo di legittimità sulla formazione del consenso.

Secondo l’impostazione del decreto citato, dunque, in assenza di un’apposita disciplina che preveda il risanamento dell’ente pubblico, si realizza il presupposto per l’applicazione della L. n. 3/2012, la quale, come ricordato, all’art. 6, comma 1, consente al debitore di fare ricorso alle procedure ivi previste, con l’obiettivo di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse.

Il decreto, particolarmente dirompente, è stato oggetto di reclamo, accolto con decreto del 12 maggio 2016. Il decreto emesso dal Tribunale in composizione collegiale in fase di reclamo ha ritenuto che le IPAB non possano far ricorso a una procedura di composizione delle crisi, sulla scorta di una serie di argomentazioni.
L’applicazione degli strumenti di cui alla L. n. 3/2012 alle IPAB contrasterebbe con le finalità della legge, finalità da individuarsi nella voluntas legis di introdurre uno strumento di risoluzione della crisi del consumatore e dell’imprenditore non fallibile, e non di un ente pubblico.

Non par vero che l’ordinamento, quanto meno a livello di normativa regionale per il caso posto all’attenzione del giudice, non contempli un’apposita disciplina che preveda una preventiva fase di risanamento dell’ente, essendo in verità prevista una fase di gestione commissariale finalizzata proprio al risanamento dell’ente.

In termini più generali, laddove la normativa regionale non venisse in soccorso e trovasse così applicazione la normativa nazionale in materia di procedura di liquidazione e di soppressione dell’ente, il silenzio del legislatore non andrebbe considerato come un “vuoto normativo”, ma come “una ben precisa scelta […] volta a non far proseguire l’attività da parte di quegli enti che abbiano arrecato un danno a carico della finanza pubblica”.

Il fatto che le procedure di risanamento previste per le IPAB non abbiano carattere concorsuale, differentemente da quanto previsto dalla L. n. 3/2012, a nulla rileva, “posto che la regola del concorso è stata espressamente esclusa dal legislatore in caso di enti pubblici ex art. 1 l.f.”.

L’applicazione della L. n. 3/2012 alle IPAB comporterebbe, infine, un’inammissibile interferenza dell’autorità giudiziaria ordinaria nella sfera della Pubblica Amministrazione, dal momento che il giudice, con l’omologa della proposta di accordo e pur in presenza di norme in senso contrario, consentirebbe la continuazione per l’ente richiedente di un’attività che al contrario dovrebbe essere interrotta.

Tale questione, pur dibattuta, è stata comunque definitivamente risolta dal Codice della crisi, il quale, all’art. 1, comma 1, ha escluso dal proprio ambito di applicazione (e, dunque, dalla possibilità di applicare le procedure in esame) lo Stato e gli enti pubblici.