Per la Cassazione il cessionario non può essere considerato «estraneo al reato» se è accertata la sua consapevolezza della fraudolenza del negozio

Di Maria Francesca ARTUSI

Il profitto confiscabile, anche nelle forme per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del DLgs. 74/2000, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il Fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo del reato (così, testualmente, Cass. SS.UU. n. 10561/2014).
Il profitto può essere costituito anche dalla somma di denaro ottenuta dal reinvestimento dei beni sottratti.

Se da un lato i beni che si trovano nella disponibilità del terzo estraneo al reato non sono confiscabili, ai sensi dell’art. 12-bis del DLgs. 74/2000 (“è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato”), d’altra parte è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente, che ha tratto vantaggio dalla consumazione dell’illecito, una persona estranea al detto reato.

Tali principi hanno trovato applicazione in un caso affrontato dalla Corte di Cassazione n. 29980, depositata ieri, in cui si dibatteva sulla legittimità del sequestro diretto di un ramo di azienda, in considerazione della possibilità o meno di qualificare il bene ceduto come “profitto del reato” di cui al citato art. 11 del DLgs. 74/2000. Il pubblico ministero sosteneva, in proposito, che chi aveva tratto vantaggio dal (fraudolento) trasferimento dell’azienda non era stata soltanto la società cedente, soggetto passivo dell’obbligazione tributaria inadempiuta, ma anche la società cessionaria.

In effetti, dalle risultanze del tribunale di merito, appariva che era stato posto in essere un contratto di affitto di ramo di azienda che dissimulava una vera e propria cessionedi beni posta in essere da una società a responsabilità limitata, indebitata nei confronti dell’Erario per oltre tre milioni di euro, a favore di altra srl. A ulteriore sostegno della natura fraudolenta dell’operazione, veniva anche sottolineato che i soci di maggioranza delle due società erano persone legate da rapporto di coniugio, sicché pareva assai plausibile che costoro – tutti indagati per il reato citato – fossero non solo consapevoli della finalità indiretta perseguita con il negozio in oggetto, bensì essi stessi arteficidell’operazione medesima, avendo di mira il duplice effetto di sottrarre il compendio aziendale al Fisco e di non disperdere una lucrosa commessa ottenuta mantenendo “in famiglia” il ramo di azienda ceduto.

Viene, così, affermato il pieno coinvolgimento di tutti gli indagati (compresi i soci della cessionaria e il suo legale rappresentante di diritto) nell’operazione fraudolenta volta a sottrarre all’Erario la garanzia del credito nei confronti della cedente.
In tale prospettiva, dunque, non è possibile ritenere che la persona giuridica titolare dei beni ceduti sia estranea al reato.

I giudici di legittimità colgono, altresì, l’occasione di ribadire che i beni che costituiscono oggetto materiale delle condotte fraudolente tipizzate dall’art. 11 del DLgs. 74/2000 rappresentano anche il profitto del reato in quanto vantaggio immediatamente perseguito dall’autore mediante la creazione della situazione di apparenza volta a sterilizzare ogni possibile azione esecutiva su detti beni che restano nella sua disponibilità e, dunque, nel suo patrimonio che, in tal modo, non subisce alcun decremento.
Tant’è vero che è in base al valore di tali beni che deve essere parametrata la confisca per equivalente quando di essi non è più possibile il materiale recupero.

Infine, i beni immobili alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario sono in ogni caso suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell’art. 240 comma 1 c.p., in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo o profitto di tale delitto.