La soluzione della Suprema Corte trova conferma anche nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Di Antonio NICOTRA

Con sentenza n. 9528, depositata ieri, la Corte di Cassazione ha stabilito che il terzo in bonis non può eccepire la compensazione, ex art. 56 comma 2 del RD 267/42, qualora il credito vantato verso il soggetto fallito sia scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento e sia stato acquistato per atto di cessione tra vivi successivamente all’apertura della procedura.
Nel caso in esame, una società in bonis, a fronte di un debito verso la società fallita, eccepiva in compensazione un proprio credito. Tale credito, scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, era stato acquistato dalla società in bonis mediante atto di cessione tra vivi dopo l’apertura della procedura.

L’art. 56 comma 1 del RD 267/42 stabilisce che i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il soggetto fallito i crediti che essi vantino verso il medesimo soggetto, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Fa eccezione a questa regola il disposto del comma 2, che esclude la compensazione per i crediti non scaduti se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.
Il disposto di cui al comma 2 – come ricorda la Suprema Corte richiamando anche la Relazione ministeriale del RD 267/42 – muove dall’esigenza di evitare possibili abusi e tutelare la massa dei creditori fallimentari.

Il creditore del soggetto fallito, infatti, è (naturalmente) esposto al rischio di soddisfazione, in percentuale molto bassa del proprio credito a seguito dell’apertura della procedura fallimentare. Per questa ragione, il creditore sarebbe indotto a cedere il credito a un terzo, a sua volta debitore del fallito, il quale potrebbe operare la compensazione. Tale cessione potrebbe agevolare il creditore (che realizzerebbe una somma maggiore di quella ricavabile a seguito di falcidia fallimentare) e il debitore fallito (che opporrebbe in compensazione al fallimento l’intero credito acquistato a prezzo inferiore), ma arrecherebbe un pregiudizio nei confronti della massa attiva dei creditori.
Al fine di impedire questo pregiudizio, il legislatore ha introdotto una presunzione assoluta di frode ai danni della massa fallimentare, in grado di escludere la vis compensativa, per la compensazione che abbia a oggetto debiti e crediti non scaduti e acquistati per “atto tra vivi” dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore (il divieto non opera, invece, per i crediti acquistati mortis causa).

Il riconoscimento della facoltà di compensazione di cui all’art. 56 del RD 267/42, nonostante il fallimento, costituisce un’eccezione alla regola della par condicio creditorum, poiché permette al creditore del fallito di soddisfarsi tramite la corrispondente liberazione dal proprio debito, anziché adempierlo per intero ed essere ripagato in moneta fallimentare. La compensazione rappresenta, quindi, un mezzo di autotutela del creditore in bonis.

L’art. 56 comma 2 del RD 267/42 non menziona la fattispecie in cui il credito sia già scaduto, ma vieta la compensazione per il “credito non scaduto”.
Per la Suprema Corte, però, la previsione normativa deve estendersi per coerenza sistematica anche al credito scaduto nelle due ipotesi diverse di acquisto nell’anno anteriore e di acquisto post fallimentare.
La soluzione cui giunge la Suprema Corte è in linea con il DLgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (CCII), recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e con la Relazione illustrativa del Codice (vengono, a tal proposito, richiamati nelle motivazioni della sentenza sia lo schema di DLgs., sebbene nella versione antecedente la sua approvazione, sia la Relazione illustrativa).

L’art. 155 del CCII, sotto la rubrica “compensazione”, al comma 2 contempla una fattispecie sostanzialmente coincidente con quella dell’art. 56 comma 2 del RD 267/42, con un’importante differenza. La norma (comma 2) prevede che la compensazione non abbia luogo “se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore”. Nella nuova disciplina la fattispecie ha a oggetto “il credito” senza precisare se esso sia o meno scaduto. La disposizione del comma 2, come afferma la Relazione illustrativa dell’art. 155, è dettata dalla necessità di evitare operazioni dannose per la massa e prescinde dalla circostanza che il credito sia o meno scaduto prima dell’apertura.

La stessa Relazione illustrativa dell’art. 155, inoltre, conferma che anche l’attuale disciplina di cui all’art. 56 comma 2 del RD 267/42 – la cui ratio è quella di evitare condotte abusive e opportunistiche, dannose per la massa – trova applicazione sia in caso di acquisto di crediti non scaduti sia nell’ipotesi di cessioni successive all’apertura della liquidazione di crediti scaduti.