Pertanto, il professionista non iscritto all’Albo che svolge tali attività ha diritto al compenso

Di Cecilia PASQUALE

Le attività di tenuta delle scritture contabili dell’impresa, redazione dei modelli IVA o della dichiarazione dei redditi, effettuazione di conteggi ai fini IRAP, IMU o di altre imposte, richiesta di certificati o presentazione di domande alla Camera di Commercio, assistenza e consulenza aziendale nelle materie commerciali, economiche, finanziarie e di ragioneria non rientrano tra le attività riservate ai soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione.
Di conseguenza, il professionista non iscritto all’ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili che le ha poste in essere ha diritto al compenso per le prestazioni professionali svolte.

Si è pronunciata in questi termini la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8683 depositata ieri, confermando l’orientamento espresso in precedenti pronunce (Cass. 11 giugno 2010 n. 14085, Cass. 16 gennaio 2013 n. 953), a mente del quale l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo causa la nullità assoluta del contratto tra professionista e cliente (ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c.) solo se la prestazione espletata dal professionista rientra nelle attività riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale. In questa eventualità, il soggetto non iscritto non ha azioni per ottenere il pagamento del dovuto, neppure quella sussidiaria di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.

Quando, invece, il contratto ha ad oggetto attività non riservate, vige il principio di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi e chi svolge tali attività ha diritto alla retribuzione e all’eventuale esercizio delle azioni a tutela del suo credito.

Secondo la Cassazione, dunque, le prestazioni realizzate dal ricorrente e consistenti nella tenuta delle scritture contabili dell’impresa, la redazione dei modelli IVA o della dichiarazione dei redditi, ecc. non costituiscono attività riservate ai soggetti iscritti all’ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili e la loro esecuzione dà diritto a chi le ha poste in essere di percepire il compenso.

Il principio di diritto esposto, anche se già enunciato in precedenti decisioni, è confermato in questo caso in relazione a prestazioni effettuate dopo l’istituzione dell’albo unificato del dottori commercialisti e degli esperti contabili (avvenuta ad opera del DLgs. 28 giugno 2005 n. 139), che ha inserito in elencazioni specifiche le attività di particolare competenza delle professioni commerciali.

La sentenza si pone, così, in continuità con Cass. 28 maggio 2018 n. 13342 (anche questa avente ad oggetto un rapporto successivo al DLgs. 139/2005) e pare coerente con la decisione della Cassazione a Sezioni Unite del 23 marzo 2012 n. 11545, in tema di esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.).

Anche le Sezioni Unite del 2012, nell’individuare i presupposti per la configurazione del reato ex art. 348 c.p., si erano espresse sulla norma istitutiva dell’albo unico, affermando che non sussistono ragioni per ritenere che l’inserimento di determinate attività nell’elenco separato di cui alla Sezione B comporti l’attribuzione in via esclusiva delle relative attività a coloro che vi sono iscritti.

L’elencazione di cui all’art. 1 del DLgs. 139/2005 enuncerebbe le attività cosiddette “caratteristiche ma non esclusive”, il cui svolgimento da parte di soggetti non iscritti è ammesso.
Tali attività possono, tuttavia, determinare  la consumazione di un illecito penale, quando siano svolte da soggetto non abilitato “con modalità tali da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse dallo stesso provenienti, le apparenze dell’attività professionale svolta da esperto contabile regolarmente abilitato” (così Cass. SS.UU. n. 11545/2012; si veda anche “Solo l’esplicitazione inequivoca salva dall’esercizio abusivo della professione” del 26 marzo 2012).

Ai fini della responsabilità penale del professionista, dunque, rileva che la condotta del soggetto abbia creato le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto abilitato: ciò può realizzarsi sia con lo svolgimento di atti attribuiti in via “esclusiva” a una determinata professione, sia compiendo attività che, pur non attribuite in via esclusiva, siano univocamente individuate come di competenza “specifica” di una data professione, tali da ingenerare una situazione “evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela” (Cass. 18 luglio 2018 n. 33464).