Dopo la sentenza n. 222/2018 della Corte Costituzionale non è chiaro se la durata debba essere correlata o meno alla pena principale

Di Maurizio MEOLI

Saranno le Sezioni Unite della Cassazione – l’udienza pubblica è fissata per il prossimo 28 febbraio – a stabilire se le pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta dall’art. 216 ultimo comma del RD 267/1942, come riformulato ad opera della sentenza n. 222/2018 della Corte Costituzionale, mediante l’introduzione della previsione della sola durata massima “fino a dieci anni”, debbano considerarsi pene con durata “non predeterminata”, e quindi ricadere nella regola generale di computo di cui all’art. 37 c.p. (che prevede la commisurazione della pena accessoria non predeterminata alla pena principale inflitta), con la conseguenza che sarebbe la stessa Cassazione a poter operare la detta commisurazione con riferimento ai processi pendenti, ovvero se, per effetto della nuova formulazione, la durata delle pene accessorie, debba invece considerarsi “predeterminata”, entro la forbice data, con la conseguenza che non troverebbe applicazione l’art. 37 c.p., involgendo la rideterminazione un giudizio di fatto di competenza del giudice del merito, da effettuarsi facendo ricorso ai parametri di cui all’art. 133 c.p. (cfr. l’ordinanza n. 56458/2018 della Cassazione).

Si ricorda che la sentenza della Consulta n. 222/2018 ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 216 ultimo comma del RD 267/1942 nella parte in cui dispone che la condanna per uno dei fatti di bancarotta fraudolenta importa “per la durata di dieci anni” l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. La norma, infatti, deve essere letta nel senso che la condanna per uno dei fatti di bancarotta fraudolenta importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa “fino a dieci anni”.

In particolare, nella ricerca dei “precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo” – intesi quali soluzioni sanzionatorie già esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza della disciplina in questione (secondo le indicazioni di Corte Cost. n. 236/2016) – si è optato per quello che guarda agli artt. 217 (bancarotta semplice) e 218 (ricorso abusivo al credito) del RD 267/1942, ai sensi dei quali la durata delle medesime pene accessorie è stabilita discrezionalmente dal giudice “fino a” un massimo determinato dalla legge (rispettivamente, due anni e tre anni).

Seguendo questa logica, quindi, si è sostituito nell’attuale ultimo comma dell’art. 216 del RD 267/1942 la previsione della “durata fissa di dieci anni” delle pene accessorie con la previsione della loro durata “fino a dieci anni”. Soluzione che – nell’ottica della Consulta – consente al giudice di merito di determinare, con valutazione caso per caso e disgiunta da quella correlata alla pena detentiva, la durata delle pene accessorie sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 c.p.; durata che potrebbe dunque risultare, in concreto, maggiore di quella della pena detentiva contestualmente inflitta, ma comunque contenuta nel limite massimo di dieci anni.

Non è stata, invece, condivisa la soluzione – prospettata dall’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale – di eliminare l’inciso “per la durata di dieci anni”, cui sarebbe conseguita la riespansione della regola dell’art. 37 c.p., che àncora la durata della pena accessoria non determinata a quella della pena principale inflitta. Si è, infatti, sottolineato come tale soluzione avrebbe finito per sostituire l’originario automatismo legale con un diverso automatismo; rischiandosi un esito incoerente rispetto all’intento del legislatore di colpire in modo (debitamente) severo gli autori dei delitti di bancarotta fraudolenta e non consentendosi di discernere le valutazioni alla base della determinazione della pena principale da quelle da porre a sostegno della determinazione delle pene accessorie.

Questa decisione della Corte Costituzionale ha, innanzitutto, imposto alla Cassazione di esaminare d’ufficio il profilo del trattamento sanzionatorio, in relazione alle indicate pene accessorie, posto che, ai sensi degli artt. 136 comma 1 Cost. e 30 commi 3 e 4 della L. Cost. 87/1953, il testo della norma risultante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale si applica con efficacia ex tunc anche nei processi in corso.

La soluzione adottata dal Giudice delle leggi, inoltre, risulta accolta dalla gran parte delle decisioni della Cassazione intervenute successivamente sul tema (cfr., Cass. nn. 7228/2019, 6115/2019, 5882/2019, 5514/2019 e 4780/2019).

In altre, meno frequenti, occasioni, invece, la Cassazione ha sottolineato come non sussisterebbe alcuna necessaria interdipendenza tra la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’ultimo comma dell’art. 216 del RD 267/1942 (dispositivo) e l’indicazione interpretativa (in motivazione) a favore dell’inapplicabilità dell’art. 37 c.p. (cfr. Cass. nn. 1963 e 1968/2019). Tale indicazione interpretativa, peraltro, offrirebbe una ricostruzione della disciplina scaturente dalla declaratoria di illegittimità costituzionale contrastante, da un lato, con quello che è l’orientamento consolidato in forza del quale le pene accessorie previste per il reato di bancarotta semplice devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla regola di cui all’art. 37 c.p. (cfr. Cass. nn. 15638/2015 e 23606/2012) e, dall’altro, con le indicazioni fornite dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 6240/2015 in ordine all’ambito di applicabilità dell’art. 37 c.p., nel cui alveo sarebbero da ricondurre sia le ipotesi per le quali sia previsto un minimo “e” un massimo edittale che, come nel caso in questione, le ipotesi per le quali sia previsto soltanto un minimo “o” un massimo edittale.

Nei casi affrontati dalle sentenze relative a tale secondo orientamento, quindi, la Suprema Corte ha provveduto a rideterminare la durata delle pene accessorie per il reato di bancarotta fraudolenta in misura pari a quella stabilita per la reclusione, senza rinviare ai giudici di merito per la concreta determinazione sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 c.p.

Ora, la citata ordinanza di rimessione (Cass. n. 56458/2018) – nel condividere la prima e prevalente impostazione, anche alla luce del fatto che non si reputa corretto isolare il dispositivo dalla motivazione della decisione della Corte Costituzionale – sottolinea come vi siano tutte le condizioni per un nuovo intervento delle Sezioni Unite, sia per dirimere il contrasto comunque insorto, che per consentire loro un nuovo intervento teso a rimeditare o confermare (in tutto o in parte) il proprio precedente alla luce della rinnovata cornice normativa.