Per le cessioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto conta il prezzo effettivamente pattuito e non il valore in comune commercio

Di Caterina MONTELEONE

Alle cessioni di immobili strumentali si applicano le imposte ipotecarie e catastali che, a mente dell’art. 2 del DLgs. 347/90, sono “commisurate alla base imponibile determinata ai fini dell’imposta di registro o dell’imposta sulle successioni e donazioni”.
Il successivo art. 10 del DLgs. 347/90 sancisce che “le volture catastali sono soggette all’imposta del 10 per mille sul valore dei beni immobili o dei diritti reali immobiliari determinato a norma dell’art. 2, anche se relative a immobili strumentali, ancorché assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

Ai fini dell’imposta di registro, per il combinato disposto degli artt. 43 e 51 del DPR 131/1986, la base imponibile per le cessioni di beni immobili è data dal “valore venale in comune commercio” (cfr. art. 51, comma 2) e quindi dal “valore” dell’immobile, che viene normalmente determinato secondo i valori OMI, oppure perizie di stima.

Nel caso in cui la cessione di immobili strumentali avvenga tra soggetti IVA, secondo quanto previsto dall’art. 10 comma 1 n. 8-ter del DPR 633/72, il cessionario può optare in sede di stipula dell’atto notarile per l’assoggettamento della cessione all’IVA (mentre, secondo la regola generale, la cessione di immobili strumentali avviene in regime di esenzione da IVA). Conseguentemente, la cessione acquisterà rilevanza ai fini IVA.

Occorre interrogarsi se la richiamata rilevanza sia limitata ai fini della tassazione, ovvero se abbia risvolti anche nella successiva eventuale attività di accertamento dell’Ufficio.

Nella prassi degli Uffici, pur ricorrendo tale circostanza, l’attività di controllo degli atti di cessione di immobili strumentali viene normalmente effettuata secondo le modalità previste dall’art. 51 del DPR 131/86, terminando in caso di esito positivo con l’emissione di un atto di rettifica e liquidazione dell’imposta ipotecaria e catastale senza alcuna rettifica IVA, la quale a sua volta dovrebbe necessariamente basarsi sull’occultamento di corrispettivi.
Al riguardo, infatti, l’art. 13 del DPR 633/1972 statuisce espressamente che la base imponibile delle cessioni di beni (ivi comprese le cessioni di beni immobili) “è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente … secondo le condizioni contrattuali” e quindi dal prezzo effettivamente concordato tra le parti, anche qualora diverso dal “valore” dell’immobile.

In giurisprudenza con la sentenza della Commissione tributaria regionale di Trieste 11 gennaio 2013 n. 1/8/13 è stato affermato che “l’accertamento in materia Iva trascini automaticamente con sé ai sensi dei suddetti art. 2 e 10 del DLgs. 31 ottobre 1990, n. 347, l’accertamento anche delle imposte ipotecarie e catastali, senza necessità di ulteriori dimostrazioni, ma che l’accertamento di cui all’art. 13 del medesimo DLgs. non sia ammissibile in assenza di un accertamento in materia Iva, sussistendone i presupposti, in quanto il riferimento ivi presente deve riferirsi alla sola procedura, mentre per la determinazione della base imponibile deve farsi riferimento all’identità dei valori Iva, imposta ipotecaria e imposta catastale, per quanto suddetto”.

Benché tale sentenza si sia pronunciata in relazione a operazioni di leasing, tale principio potrebbe applicarsi anche alle cessioni di immobili strumentali rilevanti ai fini IVA, poiché anche per tali operazioni rileva il prezzo effettivamente pattuito (che poi è la base imponibile ai fini IVA) e non il valore in comune commercio (quindi, la base imponibile ai fini dell’imposta di registro).

Alla luce di quanto sopra, anche per tali operazioni si ritiene legittimo sostenere che l’accertamento IVA di un prezzo superiore a quello indicato nel contratto debba necessariamente precedere quello ai fini del recupero delle imposte ipotecarie e catastali.