Mancano ancora chiarimenti univoci sul trattamento degli aggiustamenti di prezzo di fine esercizio

Di Emanuele GRECO e Lorenzo UGOLINI

Con la circolare n. 1/2019 pubblicata ieri, Assonime ha affrontato le principali questioni attinenti alla determinazione del valore in Dogana.
Uno degli aspetti che presenta maggior criticità, in tale sede, è relativo alla determinazione del valore dei beni importati per effetto di scambi commerciali infragruppo, suscettibili quindi di essere influenzati dalle politiche di determinazione dei prezzi di trasferimento stabilite dal gruppo.

La pretesa impositiva dell’Agenzia delle Entrate, infatti, è generalmente di segno opposto a quella dell’Amministrazione doganale: per la prima il costo sostenuto dall’importatore incide negativamente sulla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, mentre per la seconda il valore di transazione rappresenta la base imponibile cui applicare l’aliquota daziaria.

In particolare, Assonime osserva che tra la disciplina sul valore in dogana e la normativa sui prezzi di trasferimento non si registra una perfetta coincidenza, con il rischio di creare un sistema “a doppio binario”, che complica l’operatività delle aziende.
Ciò si verifica soprattutto in relazione alle regole sul valore, che, ai fini doganali, “deve riflettere il valore economico reale di una merce importata e tenere conto di tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico” (Corte di Giustizia 20 dicembre 2017, causa C-529/16). Inoltre, laddove la Dogana ritenga che il legame tra le parti abbia influenzato il valore, quest’ultimo deve essere individuato secondo i metodi secondari, da applicare tassativamente “a cascata” secondo il loro ordine (art. 74 del Codice doganale dell’Unione e art. 134 del Regolamento di esecuzione).

Diversamente, in materia di prezzi di trasferimento, il contribuente può scegliere, tra metodi tradizionali e metodi reddituali, la tecnica di determinazione del valore, nel rispetto del principio del prezzo di libera concorrenza delle merci (c.d. “arm’s lenght principle”).
La pertinente osservazione di Assonime dovrebbe, però, considerarsi superata se si osserva che la circolare dell’Agenzia delle Dogane n. 16/2015 ha concluso che “i metodi tradizionali OCSE di determinazione del prezzo di trasferimento infragruppo possono essere accettati, con un diverso grado di affidabilità, anche dalle dogane”.

Se, però, si pensa a metodi “reddituali” di determinazione dei prezzi di trasferimento, è evidente la difficoltà di conciliarli con le regole doganali di determinazione del valore, fermo restando che anche in questo caso la circolare n. 16/2015 ha riconosciuto la possibilità di rendere nota preventivamente agli Uffici doganali la policy di gruppo relativa ai prezzi di trasferimento.

Inoltre, all’esigenza di tenere conto delle possibili variazioni del prezzo di trasferimento infragruppo, può soccorrere, previa apposita autorizzazione, la procedura di semplificazione di cui all’art. 73 del Codice doganale dell’Unione, che, dal 1° maggio 2016, consente di chiedere in dogana la forfetizzazione non solo degli elementi da aggiungere o da sottrarre al valore, ma anche del valore di transazione inteso in generale, quale pagamento effettuato o da effettuarsi a beneficio del venditore.

Nel quadro appena rappresentato si aggiungono i possibili aggiustamenti di prezzo (c.d. “transfer pricing adjustments”), determinati generalmente a fine esercizio sulla base di criteri reddituali e sui quali l’Agenzia delle Dogane non sembra ancora essersi pronunciata.
Nella situazione in cui gli aggiustamenti di prezzo determinino una variazione (positiva o negativa) dell’ammontare originariamente pattuito dalle imprese dello stesso gruppo, la questione della valorizzazione dei beni in Dogana diventa ancora più delicata, anche per gli effetti IVA che ne possono conseguire.

Sulla rilevanza IVA di tali aggiustamenti si è di recente espressa – seppur non compiutamente – l’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 60/2018.
In tale sede si è sostanzialmente affermato che sono irrilevanti ai fini dell’imposta gli aggiustamenti sul margine che, operati alla fine dell’esercizio, non presentano un legame diretto con le prestazioni di servizi e le cessioni di beni regolate da specifici accordi originariamente stipulati tra le parti.

Fermo restando che l’Agenzia delle Dogane non si è espressa sul punto, Assonime ricorda i principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza 20 dicembre 2017 (causa C-529/16). In una situazione in cui la politica di gruppo ha definito preventivi accordi sui prezzi di trasferimento, gli aggiustamenti di prezzo sono stati considerati irrilevanti ai fini della determinazione del valore doganale, sebbene la sentenza sia stata resa con riferimento alle norme del previgente codice doganale e si sia osservato che tale codice non impone agli importatori di adeguare il valore di transazione correggendolo ex post al rialzo, né alle Autorità doganali di cautelarsi dal fatto che gli importatori operino esclusivamente aggiustamenti al ribasso.