Due principi di diritto delle Entrate penalizzano le società con ingenti utili accantonati a riserva

Di Gianluca ODETTO

I principi di diritto n. 11 e n. 12, datati 6 novembre 2018, analizzano alcuni aspetti della disciplina antielusiva dell’ACE contenuta nell’art. 10 del DM 14 marzo 2012, poi trasfuso con alcune modifiche nell’art. 10 del DM 3 agosto 2017 all’atto della riscrittura delle disposizioni attuative dell’agevolazione.

I due principi di diritto esaminano, rispettivamente, la causa di riduzione della base ACE connessa all’incremento dei crediti finanziari infragruppo e le ipotesi di disapplicazione della disciplina antielusiva nel momento in cui le operazioni infragruppo sono in parte autofinanziate, derivando i fondi utilizzati anche da utili accantonati a riserva.

Iniziando dal principio di diritto n. 11/2018, esso riguarda le imprese tenute a ridurre la propria base ACE in ragione dell’incremento dei crediti da finanziamento rispetto a quelli risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. La norma ha l’obiettivo di evitare che la società, una volta ricevuti fondi dai propri soci attraverso aumenti di capitale o, in senso più generico, conferimenti in denaro, utilizzi queste somme non per il proprio rafforzamento patrimoniale, ma al fine di finanziare le proprie partecipate o altre società del gruppo; tecnicamente, la riduzione della base ACE grava sulla società finanziatrice, ed è riassorbita nel momento in cui il finanziamento viene restituito.

Il principio di diritto integra il contenuto della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 12/2014 (§ 3.4), laddove essa chiarisce che è possibile evitare la riduzione della base ACE nel momento in cui la società finanziata non abbia, a sua volta, effettuato alcuna delle operazioni infragruppo potenzialmente duplicative del beneficio (es. conferimenti a favore di altre società del gruppo): l’Agenzia delle Entrate specifica, in particolare, che se la società finanziata presenta una base ACE alimentata anche da apporti di capitale, ai fini dell’applicazione della norma in esame si presume che queste operazioni potenzialmente duplicative siano state effettuate attingendo alle somme che le sono pervenute a titolo di apporto.

In numeri, se una società del gruppo X finanzia per 100 la consociata A, se A ha ricevuto dai propri soci persone fisiche un conferimento in denaro per 80 e se A stessa effettua un aumento di capitale – sempre per 80 – a favore di una controllata B, si presume che i fondi per 80 siano stati attinti dall’aumento di capitale che A ha ricevuto dai propri soci, e non dal finanziamento ricevuto. Le conseguenze pratiche di questo ragionamento, portato dal principio n. 11/2018, sono le seguenti:
– A riduce in modo permanente la propria base ACE di 80 (il conferimento in denaro effettuato a favore della controllata B);
– X dovrebbe ridurre in via temporanea la propria base ACE di 20, ovvero della differenza tra il finanziamento erogato ad A e quanto A, attingendo dai propri apporti, ha erogato a B (è questa l’interpretazione che dovrebbe darsi della frase del principio di diritto secondo cui, fino a concorrenza della riduzione operata – nell’esempio, da A – si deve escludere che il finanziamento erogato abbia avuto un effetto duplicativo della base ACE e che, “entro tali limiti”, il finanziatore – nell’esempio, X – può disapplicare la disciplina antielusiva.

Il principio di diritto n. 12/2018 integra, invece, il contenuto della circolare n. 21/2015 (§ 3), nella parte in cui essa precisa che, se una società effettua una delle operazioni potenzialmente duplicative della base ACE, essa è titolata a non ridurre la propria base ACE nella misura in cui i fondi utilizzati derivino dall’autofinanziamento (ovvero, da utili accantonati a riserva).

Il principio chiarisce, in particolare, che se la società in questione ha una base ACE mista (ovvero, composta sia da conferimenti in denaro, sia da utili accantonati a riserva), all’atto dell’effettuazione di queste operazioni “sensibili” la base ACE deve essere ridotta sino a concorrenza dell’importo dei conferimenti in denaro ricevuti, in quanto è solo entro questi limiti che possono prodursi duplicazioni del beneficio.

In presenza, quindi, di utili accantonati a riserva per 100 e di conferimenti in denaro ricevuti dai soci per 75, se la società effettua un aumento di capitale a favore di una partecipata per 70, essa sarebbe tenuta a ridurre la propria base ACE per l’intero importo di 70, in quanto le somme si dovrebbero considerare attinte dagli apporti dei soci, e non dagli utili accantonati a riserva.

La logica di fondo dei due principi di diritto è quindi quella per cui, all’atto dell’effettuazione delle operazioni infragruppo, si considerano prioritariamente utilizzate le somme corrispondenti agli apporti dei soci, con un’impostazione che può, però, danneggiare società che hanno proceduto a significativi accantonamenti di utili a riserva e che, per ogni operazione infragruppo effettuata, si vedrebbero quindi decurtare la base ACE nella misura in cui esistono (come di norma) nel Patrimonio netto conferimenti e versamenti dei soci che hanno concorso a formare la base di calcolo dell’agevolazione.