Le differenti ricostruzioni sembrano confluire ragionando in ottica probatoria

Di Maurizio MEOLI

L’elemento soggettivo che deve animare il comportamento del concorrente “estraneo” (ad esempio, un professionista) nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione – fattispecie che presenta quali soggetti attivi (intranei) l’imprenditore fallito (ex art. 216 del RD 267/42) ovvero gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite (ex art. 223 del RD 267/42) – sembrerebbe oggetto di ricostruzioni differenti o non proprio conformi nella giurisprudenza di legittimità (si veda anche quanto recentemente rilevato da Cass. n. 45348/2018).

Secondo l’orientamento prevalente, il dolo del concorrente estraneo nel reato in questione consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneo, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori; non sarebbe, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (cfr. Cass. n. 12414/2016, n. 41055/2014 e n. 16983/2014).

Altre pronunce, invece, sembrano ravvisare il concorso di cui si discute quando il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore, del quale si conosce il “dissesto”, a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa (cfr. Cass. n. 27367/2011, n. 41333/2006 e n. 23675/2004).

In particolare, nel contesto del primo orientamento si sottolinea come l’elemento soggettivo dell’intraneo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione sia costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Di conseguenza, non vi sarebbe poi ragione alcuna di attribuire all’oggetto del dolo un contenuto diverso e più ampio nell’ipotesi in cui il reato sia commesso dal concorrente estraneo; tanto più che così facendo si violerebbero le regole generali sul concorso di persone.

Nelle pronunce che sembrano propendere per la necessità della consapevolezza anche del dissesto da parte del concorrente estraneo, invece, si evidenzia come la nozione di “distrazione fraudolenta” comporti la consapevole ed ingiustificata messa a repentaglio delle ragioni dei creditori. Se tale dimensione dell’elemento psicologico del reato si presenta agevolmente configurabile con riguardo alla posizione dell’imprenditore (o dell’amministratore), essendo in capo ad essi del tutto logico supporre la conoscenza della consistenza del proprio patrimonio (o di quello della società amministrata), lo stesso non può dirsi per chi, come l’estraneo, non disponendo di una completa valutazione del necessario compendio informativo, non necessariamente ricava dal dato di uscita del denaro o di altri beni un giudizio di concreto e serio repentaglio agli interessi creditori (cfr. Cass. n. 41333/2006).

Un più attento esame di quest’ultima decisione, peraltro, fa emergere come, a fronte delle evidenziate difficoltà per l’estraneo, il dolo dello stesso sia stato ravvisato nella consapevolezza non dell’insolvenza, ma del “rischio di insolvenza”; precisando tale nozione in termini descrittivi, come pregiudizio per la garanzia dei creditori, in una dimensione che corrisponde a quella che è l’offesa di pericolo propria del reato, nella prospettiva dell’eventuale apertura di procedure concorsuali, non dissimile dall’oggetto del dolo del soggetto intraneo all’impresa. La Cassazione n. 27367/2011, inoltre, ha identificato il contenuto del dolo del concorrente esterno nella “consapevolezza e volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa”, dove al riferimento al dissesto non è attribuito l’inequivoco significato dell’indicazione di una componente dell’oggetto del dolo, ma solo un’espressione descrittiva della posizione del concorrente interno.

La pronuncia della Cassazione n. 23675/2004 (richiamata anche da altre pronunce), infine, ha individuato, in realtà, il dolo dell’estraneo nella consapevolezza del possibile pregiudizio derivante dalla distrazione per la garanzia dei creditori, riservando, in tale prospettiva, alla conoscenza del dissesto una funzione meramente probatoria, quale elemento che come altri può risultare in concreto utile ai fini della dimostrazione del dolo come sopra delimitato. Questa, osserva la Cassazione n. 14045/2016, è una prospettiva indiscutibile, ma non significa che, in situazioni in cui il dissesto o anche il solo disequilibrio economico dell’impresa non si sia ancora palesato, le circostanze del fatto cui il soggetto concorre non possano rivelarne la natura effettivamente distrattiva.

D’altra parte, sarebbe singolare pretendere che la configurabilità del concorso dell’estraneo, in un reato alla cui struttura lo stato di dissesto al momento della consumazione della condotta è estraneo, dipenda dalla sua consapevolezza dello stesso. Ciò equivarrebbe infatti a sostenere (erroneamente) che il concorso esterno nella bancarotta patrimoniale potrebbe sussistere esclusivamente nell’ipotesi in cui il dissesto dell’impresa è già conclamato.