Sarebbe opportuno pensare ad apposite previsioni nei principi ISA Italia più dettagliate in materia di imprese di dimensioni molto ridotte
L’art. 378 dello schema di DLgs. recante il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 155/2017 modifica l’art. 2477 c.c., riducendo sensibilmente le soglie per l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore nelle srl. Basta superare per due esercizi consecutivi uno solo dei seguenti parametri: 2.000.000 di euro di ricavi netti; 2.000.000 di euro di totale attivo; dieci dipendenti occupati in media.
Si tratta di entità rientranti nel perimetro delle “piccole imprese” definito in tal guisa dall’art. 3 della Direttiva 2013/34/UE (società che non superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: totale dello stato patrimoniale, 4.000.000 di euro; ricavi netti, 8.000.000 di euro; 50 dipendenti occupati in media).
La dimensione particolarmente piccola delle imprese soggette al nuovo obbligo porta a chiedersi quali possano essere gli impatti operativi sulla revisione che va svolta in conformità ai principi di revisione ISA (Italia).
Il dubbio, pur tenendo conto che i principi di revisione internazionali sono concepiti in modo da poter essere applicati a enti di ogni dimensione, è se non sia opportuno pensare ad apposite previsioni nei principi ISA (Italia) più dettagliate in materia di imprese di dimensioni molto ridotte caratterizzate da peculiarità organizzative e assetti di governance che condizionano la natura e l’estensione delle procedure di revisione.
Si consideri che l’art. 26, comma 5 della Direttiva 2006/43/CE prevede che, se uno Stato membro impone la revisione legale delle piccole imprese, “esso può stabilire che l’applicazione dei principi di revisione […] debba essere proporzionata alla portata e alla complessità delle attività di tali imprese. Gli Stati membri possono adottare misure” per “garantire l’applicazione proporzionata dei principi di revisione alla revisione legale dei conti delle piccole imprese”.
È inutile negare che i principi ISA sono scritti principalmente per le revisioni di imprese medio-grandi e che molti revisori già lamentano difficoltà nell’applicare alle revisioni dei bilanci di imprese di dimensioni ridotte alcune statuizioni in essi contenute. Gli attuali paragrafi dei principi intitolati “Considerazioni specifiche per le imprese di dimensioni minori” non sembrano, infatti, sufficienti a garantire regole confacenti alla revisione di imprese con due milioni di euro di ricavi o di totale attivo o più di dieci dipendenti.
La stessa definizione di impresa di dimensione minore nei principi ISA non fa riferimento alle dimensioni della società, ma a parametri qualitativi (coincidenza tra proprietà e gestione in capo a uno o pochi soggetti, scarsa segregazione di funzioni, semplicità delle registrazioni contabili, numero di attività limitato ecc.). Definizione di certo idonea a fornire indicazioni per imprese con le caratteristiche sopra enucleate, ma che abbiano, al contempo, una dimensione minima sufficiente a consentire una piena applicazione degli ISA.
Le principali fattispecie che, ad avviso dello scrivente, meritano particolare attenzione dal punto di vista dell’impatto sulla revisione sono: scarsa familiarità dei proprietari-amministratori con i controlli esterni; potenziale forzatura da parte dei proprietari-amministratori di qualsiasi forma di controllo interno (spesso si è in presenza di un amministratore unico di società unipersonale); tendenza del proprietario-amministratore a dedicare la sua attenzione a vendite, marketing, produzione e non ad amministrazione e contabilità; presenza di personale con limitate conoscenze contabili; esternalizzazione della contabilità e di attività rilevanti per la formazione del bilancio presso professionisti o fornitori di servizi esterni e carenza di procedure formali per l’interazione tra impresa utilizzatrice e il fornitore dei servizi per lo scambio di flussi informativi e autorizzativi; assenza di contabilità di magazzino e di idonee procedure inventariali; assenza di procedure formali per la redazione di budget o di piani a supporto, ad esempio, di capitalizzazioni di intangibles o di impairment test sulle immobilizzazioni.
Dal punto di vista del revisore, le situazioni elencate spesso precludono qualsiasi affidamento sulle procedure di controllo interno e inducono ad alzare il livello di rischio di errori significativi estendendo, quindi, i test di sostanza su transazioni e saldi di bilancio.
Quanto detto, ovviamente, non preclude la fattibilità della revisione nelle piccole imprese quando sono presenti almeno due requisiti fondamentali: l’integrità del proprietario-amministratore e un sistema contabile che, per quanto semplice, sia adeguato alle dimensioni e complessità dell’azienda.
Argomento non trascurabile è anche quello del corrispettivo della revisione: seguendo le indicazioni del CNDCEC nella guida “Approccio metodologico alla revisione legale affidata al Collegio sindacale nelle imprese di minori dimensioni”, è di circa 130 il numero di ore “standard” per le imprese con una media tra ricavi e totale attivo di due milioni. Ad esempio, con una tariffa oraria media (per il revisore e un collaboratore che dividono le ore al 50%) di circa 50 euro (77 euro per il revisore e 23 euro per il collaboratore), il costo di una revisione ammonterebbe a circa 6.500 euro.