Non è presente una norma analoga alla definizione dei verbali

Di Alfio CISSELLO

Da più parti si è affermato che le definizioni del decreto fiscale (DL 119/2018) presentano alcuni “buchi” e si tratta di “buchi” non da poco, talvolta ingiustamente penalizzanti per intere categorie di contribuenti.
Se il testo non verrà modificato in sede di conversione, sono fuori gli omessi versamenti, anche se è arrivato l’avviso bonario, eccezion fatta per i contribuenti che hanno ruoli trasmessi entro il 31 dicembre 2017, sono fuori tutti i contribuenti sottoposti a indagini a tavolino non ancora sfociate in accertamento, così come i contribuenti destinatari di accessi in cui non c’è stato ancora il processo verbale di constatazione.
Del pari, non possono accedere a nessuna definizione i destinatari di atti di irrogazione/contestazione di sole sanzioni avverso i quali, al 24 ottobre 2018, non è stato presentato ricorso.

Una ulteriore falla del sistema riguarda i soci di società di persone, i soci di società di capitali che hanno esercitato l’opzione per la trasparenza fiscale e i soci di società di capitali a ristretta base azionaria che si sono visti applicare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili.

Se alla società è stato notificato l’atto sul maggior reddito, e, entro il 24 ottobre 2018, i soci non sono stati raggiunti dall’avviso sul proprio maggior reddito di partecipazione, sono fuori da qualsiasi definizione.
Invero, il legislatore ha sì esaminato la problematica, ma solo con riguardo all’adesione ai PVC, ex art. 1 comma 4 del decreto, ove si stabilisce: “in caso di processo verbale di constatazione consegnato a soggetti in regime di trasparenza di cui agli articoli 5115 e 116del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, la dichiarazione di cui al comma 1 può essere presentata anche dai soggetti partecipanti, ai quali si applicano le disposizioni del presente articolo per regolarizzare le imposte dovute sui maggiori redditi di partecipazione ad essi imputabili”.

Se è stato già fatto l’accertamento, l’adesione ai PVC è preclusa, e la società, entro il 23 novembre, o, se più ampio, entro il termine per l’acquiescenza, può definire le imposte imputabili alla stessa, cioè IVA e IRAP.
Ma non può, salvo diversa indicazione dei provvedimenti attuativi (che, almeno per l’art. 2del decreto, non dovrebbero tardare) essere definito il maggior reddito, siccome, essendoci la trasparenza, l’avviso emesso sulla società è per sua natura genetica senza imposta.
Sarebbe definibile quello dei soci, ma se l’accertamento non è stato notificato entro il 24 ottobre 2018 si è fuori dalla definizione.

Ci si può chiedere se i soci possano recepire i rilievi contenuti nell’accertamento del maggior reddito avvalendosi della dichiarazione integrativa speciale, di cui all’art. 9 del DL 119/2018.
Tale possibilità è espressamente esclusa dall’art. 9 comma 8 del DL 119/2018, in cui si inibisce l’integrativa ai soci “per i rilievi formulati a seguito di accessi, ispezioni, verifiche o di qualsiasi atto impositivo a carico delle società da essi partecipate”.

Si tratta di una ulteriore falla del sistema, che dovrebbe essere risolta dal legislatore.
Ma, analizzando più a fondo il problema, il legislatore ha da molto tempo già trovato una soluzione: l’art. 40 comma 2 del DPR 600/73 impone, senza mezzi termini, all’Agenzia delle Entrate di effettuare l’accertamento con unico atto nei confronti della società e dei soci.
L’osservanza di questa norma eliminerebbe alla radice il problema.

Tuttavia, la prassi di notificare l’accertamento sul reddito sociale e i distinti accertamenti sul maggior reddito di partecipazione, ponendo nell’oblio l’obbligo dell’unico atto e abrogando implicitamente la norma, è stata avallata da parte della dottrina, dalla unanime giurisprudenza di Cassazione e anche da risalenti pareri del Consiglio di Stato.