Sconti dell’80% a chi ha vinto in secondo grado nonostante l’Agenzia delle Entrate vinca in Cassazione il 68,2% dei ricorsi che propone

Di Alfio CISSELLO e Enrico ZANETTI

L’attenzione mediatica, che accompagna il quesito dal retrogusto amletico “è un condono o non è un condono?”, continua a essere polarizzata dalla “dichiarazione integrativa speciale”, di cui all’art. 9 del decreto fiscale (DL 119/2018).
Ciò è in parte giustificato dal fatto che, prevedendo la “dichiarazione integrativa speciale” il pagamento di un forfait al 20%, al posto delle maggiori imposte che sarebbero state altrimenti dovute, sia in caso di fedele dichiarazione sin dal principio, sia in caso di dichiarazione integrata senza i benefici della “speciale”, non vi è dubbio che si tratti di un condono.

È tuttavia un “piccolo condono”, nel senso che gli stringenti (e non chiarissimi) limiti di emersione, sino a un massimo di un terzo del dichiarato e comunque fino a 100.000 euro, rendono questo istituto evidentemente inapplicabile sulle evasioni di maggiore entità, tanto è vero che, come è stato spiegato anche su Eutekne.info (si veda “Integrativa e copertura penale, tanto rumore per quasi nulla” del 20 ottobre 2018), larga parte del dibattito sui riflessi penali appartiene più alla dimensione parallela della battaglia politica che alla dimensione reale della sostanza tecnica.

Questa polarizzazione sta però sviando l’attenzione da un “grande condono” presente nel decreto fiscale.
Non si tratta delle rottamazioni dei processi verbali di constatazione della Guardia di Finanza, di cui all’art. 1; né di quella degli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate di cui all’art. 2; né tanto meno della terza edizione di quella delle cartelle esattoriali dell’agente della riscossione: tutti provvedimenti che, in attesa delle annunciate novità che dovrebbero consentire un saldo e stralcio tra il 6% e il 25% del valore della cartella (ma soltanto a contribuenti e imprese, rispettivamente, con redditi ISEE e indici di liquidità molto bassi), si caratterizzano per la tipica logica da “pace fiscale” secondo cui si abbuonano sanzioni e interessi, ma si tiene fermo il pagamento integrale dell’imposta dovuta.

Non si tratta nemmeno dello stralcio dei debiti fino a 1.000 euro affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010, di cui all’art. 5, perché è evidente che questa norma, non essendo applicabile a quelli più recenti, risponde a logiche efficientistiche nella gestione del “magazzino dei ruoli” dell’agente della riscossione piuttosto che a finalità condonistiche pro contribuenti.

Il “grande condono” che resta sottotraccia, agevolato dal grande clamore che suscita invece quello “piccolo”, è quello delle liti fiscali pendenti, di cui all’art. 6.
In particolare, di quello che riguarda le liti fiscali pendenti dopo una pronuncia di secondo grado favorevole al contribuente contro cui l’Amministrazione finanziaria ha scelto di presentare ricorso in Cassazione o ha ancora aperti i termini per decidere di farlo (altrimenti la lite non sarebbe pendente, ma conclusa con vittoria del contribuente).
In questo caso, infatti, la lite può essere definita pagando appena il 20% del valore della controversia, ossia ottenendo l’azzeramento di sanzioni e interessi (perché per “valore della controversia” si intende solo il tributo che, secondo l’Amministrazione finanziaria, avrebbe dovuto essere dichiarato e pagato dal contribuente) e, in sovrappiù, lo sconto dell’80% del tributo.

Questo vuol dire che nelle controversie relative a casi di dichiarazione infedele o addirittura fraudolenta, dove le sanzioni raddoppiano (quando non triplicano) l’importo del tributo originario, con una controversia pendente, che tra imposte e sanzioni vede un contribuente esposto al rischio di dover pagare 100, può essere chiusa pagando 10 (ossia il 20% di 50, mentre il restante 50 è integralmente abbuonato).
Per poter fare questo, va ricordato, il contribuente deve avere vinto in secondo grado.

Se però guardiamo le statistiche ufficiali del contenzioso tributario per l’ultimo anno disponibile (2017), nella Relazione a cura del Dipartimento delle Finanze, vediamo che, quando l’Agenzia delle Entrate decide di ricorrere in Cassazione, vince nel 68,2% dei casi. Occorre precisare che tale accoglimento comprende le Cassazioni con rinvio e quindi non è sintomatico della vittoria dell’Erario, né dei casi di soccombenza ripartita (con possibile ricorso incidentale del contribuente).

Peraltro, uno sconto dell’80% derivante da una vittoria del contribuente in secondo grado risulta in ogni caso eccessivo, per la ragione seguente: la sentenza di secondo grado vale, processualmente parlando, esattamente come quella di primo grado, semmai possono esserci effetti sulla riscossione frazionata o su altri aspetti (ad esempio, composizione del Collegio giudicante). Ciò è assolutamente in linea con il principio di autonomia dei gradi di giudizio.
Meglio sarebbe un parametro simile a quello previsto per ASD e SSD dall’art. 7 dello stesso DL 119/2018: individuazione di percentuali di stralcio di imposte parametrati alla pendenza del giudizio, alla vittoria del contribuente o della parte pubblica, senza alcuna differenziazione in base al grado di giudizio.

Ma, al di là di questi aspetti, la scelta del legislatore risulta comunque criticabile, dal momento che, con queste percentuali di vittoria in Cassazione delle Entrate, uno sconto del 50% sul tributo (in aggiunta ad azzeramento di interessi e sanzioni) sarebbe già generoso, mentre uno sconto dell’80% appare un autentico “regalo statistico”.
E in questo caso non c’è nemmeno la logica, condivisibile o non condivisibile, dell’aiuto ai piccoli, perché qui non ci sono limiti di 100.000 euro e il condono è dunque utilizzabile per qualsiasi importo in contenzioso.

Sempre le stesse statistiche ufficiali ci dicono che le controversie definite in secondo grado con “tributi in contestazione” per importi superiori a 100.000 euro sono state 7.965 nel 2015 (di cui 1.285 superiori a un milione di euro e 169 superiori a 10 milioni di euro), 8.116 nel 2016 (di cui 1.363 superiori a un milione di euro e 144 superiori a 10 milioni di euro), 8.215 nel 2017 (di cui 1.318 superiori a un milione di euro e 117 superiori a 10 milioni di euro).
Sarebbe pertanto opportuno valutare in sede di conversione del provvedimento una rimodulazione dello stralcio delle imposte, nei termini indicati.