Dal decreto fiscale pubblicato ieri in Gazzetta emergono numerosi aspetti problematici

Di Alfio CISSELLO e Maurizio MEOLI

La disciplina in materia di dichiarazione integrativa speciale reca disposizioni di carattere penalistico di difficile interpretazione sia letterale che sistematica.
Ci si riferisce, in particolare, al comma 9 dell’art. 9 del DL 23 ottobre 2018 n. 119 (decreto fiscale), pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale e in vigore da oggi, che così recita: “Chiunque fraudolentemente si avvale della procedura di cui al presente articolo al fine di far emergere attività finanziarie e patrimoniali o denaro contante o valori al portatore provenienti da reati diversi dai delitti di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è punito con la medesima sanzione prevista per il reato di cui all’articolo 5-septies del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 648-bis648-ter648-ter.1 del codice penale e dell’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356”.

La prima parte, innanzitutto, introduce una nuova fattispecie che reca in sé un rinvio, ai fini dell’individuazione della pena, all’art. 5-septies del DL 167/1990 convertito. Si dispone, quindi, che è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque “fraudolentemente” si avvalga della procedura in questione al fine di far emergere attività finanziarie e patrimoniali o denaro contante o valori al portatore provenienti da reati diversi dai delitti di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).
Tale disposizione lascia immaginare una copertura penale per queste due fattispecie. Tale copertura, però, non risulta inserita espressamente e una sua ammissione implicita appare quanto meno discutibile.

Ad ogni modo, anche ove si ammettesse tale copertura, i problemi non sarebbero affatto terminati.
La prima parte del secondo periodo, infatti, precisa che resta ferma l’applicabilità degli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p. ovvero delle fattispecie di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e di autoriciclaggio. Le prime due fattispecie possono essere commesse da un soggetto diverso dall’autore (o concorrente) dei reati presupposto (ovvero i due reati fiscali sopra ricordati), mentre il terzo è integrato dallo stesso autore dei reati presupposto.

Nel caso di riciclaggio o reimpiego, quindi, la dichiarazione integrativa speciale assicurerebbe al “dichiarante” la copertura penale, sempre ove la si ammettesse, per le fattispecie di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000, ma condurrebbe comunque alla punibilità di chi, senza concorrere nei reati tributari in ipotesi coperti, abbia trasformato il denarocontante da essi proveniente in attività finanziarie o patrimoniali, in valori al portatore ovvero abbia anche solo concesso la disponibilità di propri conti correnti per il deposito delle somme in questione. Allo stesso tempo, dal momento che resta ferma anche la punibilità della fattispecie di autoriciclaggio, colui il quale dovesse presentare la dichiarazione integrativa speciale avrebbe la copertura, sempre ove la si ammettesse, per le fattispecie di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000, ma non per le condotte di impiego, sostituzione, trasferimento, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, del denaro proveniente dalla commissione di tali delitti, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa; condotte in cui si sostanzia la fattispecie di autoriciclaggio.

È ampiamente probabile, quindi, che al soggetto dichiarante autore delle fattispecie di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000 che abbia utilizzato il denaro/risparmio d’imposta provento degli stessi in attività finanziarie o patrimoniali, ovvero convertendolo in valori al portatore, sia contestata la fattispecie di autoriciclaggio; fatto salvo il caso in cui tale provento sia rimasto denaro/risparmio d’imposta nella disponibilità dell’autore dei reati tributari di cui sopra, senza un suo successivo utilizzo.

Si osserva, da ultimo, come l’ultima parte del secondo periodo del comma in commento lasci ferma anche l’applicabilità dell’art. 12-quinquies del DL 306/1992 convertito. Volendo tracciare una linea di continuità con la prima parte del periodo è ipotizzabile che il legislatore intendesse riferirsi alla fattispecie di trasferimento fraudolento di valori, ai sensi del quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter c.p., è punito con la reclusione da due a sei anni. Tale fattispecie, tuttavia, originariamente contemplata dal primo comma dell’art. 12-quinquies del DL 306/1992 convertito è stata “trasferita”, dal DL 21/2018 convertito, nell’art. 512-bis c.p. (al quale non è fatto alcun cenno), con contestuale abrogazione dell’art. 12-quinquies comma 1, mentre nell’art. 12-quinquies è rimasta la sola fattispecie, contemplata dal comma 2, di possesso ingiustificato di valori.