Anche per le plusvalenze qualificate si profila, dal 2019, il regime di imposizione sostitutiva del 26%

Di Gianluca ODETTO

Lo schema di DLgs. di attuazione della direttiva 2016/1164/UE prevede, tra le modifiche al regime dei capital gain di fonte estera, l’estensione dell’imposizione sostitutiva del 26% alle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate quotate in società a regime fiscale privilegiato.

Pur nella complessità del quadro normativo che risulterebbe a seguito di queste modifiche, sembra quindi di comprendere che tutti i redditi finanziari (sia i dividendi, sia le plusvalenze) che emergono dal possesso o dalla cessione di partecipazioni quotate siano tassati, dal 2019, con le regole ordinarie previste per i redditi di fonte estera, indipendentemente dalla localizzazione della partecipata e dal connesso regime impositivo nel proprio Stato di residenza.

Per inquadrare le modifiche in questione è opportuno fare un passo indietro e ricordare che, sino alla fine del 2017, in virtù della formulazione degli artt. 68 comma 4 del TUIR e 27 comma 4 del DPR 600/73, il regime fiscale dei redditi finanziari di fonte estera era fondato su tre parametri, rappresentati dalla localizzazione della partecipata (in uno Stato a regime fiscale ordinario o privilegiato), dall’entità della partecipazione (qualificata o non qualificata) e dalla natura della partecipazione stessa (quotata o non quotata).

Concentrando l’attenzione sulle partecipazioni in società a regime fiscale privilegiato, i dividendi e le plusvalenze concorrevano alla formazione del reddito del percipiente – tassato con le aliquote progressive IRPEF – in misura integrale; se, però, le partecipazioni detenute erano quotate nei mercati regolamentati e non superiori alle soglie di qualificazione (pari, per le società quotate, al 2% dei diritti di voto o al 5% del capitale), si ritornava al regime naturale, ovvero alla previsione di una ritenuta d’ingresso a titolo d’imposta o all’imposta sostitutiva da liquidare nel quadro RM della dichiarazione (in entrambi i casi con aliquota del 26%) per i dividendi, e all’imposta sostitutiva del 26%, da liquidare in ogni caso nel quadro RT della dichiarazione, per i capital gain.

Il legislatore aveva, in sostanza, preso atto che la quotazione nei mercati regolamentati dei titoli della partecipata era condizione sufficiente per certificarne la “operatività”, esonerando quindi il socio dall’onere, normalmente gravoso, di accertare se la partecipata stessa dovesse essere considerata a regime fiscale privilegiato o meno. Questa causa esimente era però limitata alle partecipazioni quotate non qualificate (le quali, comunque, rappresentano la grande maggioranza delle partecipazioni presenti nei portafogli titoli); per le partecipazioni quotate qualificate, invece, evidentemente si riteneva che il socio avesse la possibilità di indagare il reale livello impositivo della partecipata estera, per cui l’utile o la plusvalenza risultavano integralmente imponibili, fatta naturalmente salva la possibilità di disapplicare la norma, anche con interpello, se il socio avesse deciso di intraprendere questa indagine.

Queste consolidate regole sono state in parte modificate dall’art. 1 commi 999 e ss. della L. 205/2017. Nonostante le modifiche apportate all’art. 27 comma 4 del DPR 600/73 non siano del tutto cristalline (si veda “Dividendi «privilegiati» quotati sempre esclusi da IRPEF” del 17 maggio 2018), si tende ad ammettere che, nell’attuale contesto normativo, anche i dividendi derivanti dal possesso di partecipazioni qualificate in società quotate siano assoggettati all’imposizione del 26%, pur se la partecipata è a regime fiscale privilegiato. L’effetto per il socio qualificato dovrebbe risultare quello di una minore tassazione complessiva rispetto al passato, anche se l’imposizione sostitutiva preclude il recupero delle imposte assolte all’estero.

L’intervento della L. 205/2017 ha, però, lasciato inalterato il regime del capital gain, per cui la persona che ceda la propria partecipazione qualificata nella società quotata a regime fiscale privilegiato risulterebbe oggi tassato sul 100% della plusvalenza (mentre il socio non qualificato sconterebbe, come detto, l’imposta sostitutiva del 26%). A ciò pone rimedio l’art. 5 dello schema di DLgs. delegato, il quale estende ai capital gain qualificati in società quotate “black list” il regime naturale, dal 1° gennaio 2019 rappresentato dall’imposizione sostitutiva del 26%, indipendentemente dall’entità delle partecipazioni detenute.

Pur non essendovi indicazioni esaustive sul punto da parte della Relazione illustrativa allo schema di DLgs. attuativo, sembra quindi di comprendere che il legislatore abbia inteso riconoscere una valenza ancora maggiore alla quotazione della partecipata nei mercati regolamentati quale fattore di “disattivazione” del regime di tassazione integrale dei dividendi e delle plusvalenze, riservando lo stesso alle sole partecipazioni non quotate; si può invece ipotizzare che la modifica non derivi dalla constatazione per cui, nelle società quotate, anche una partecipazione rilevante (es. il 3% dei diritti di voto) difficilmente consente di ottenere informazioni sulla natura privilegiata o meno del livello di fiscalità della società partecipata, essendo dal 2019 questo test fondato sul più semplice parametro del livello nominale di tassazione per tutte le partecipazioni non di controllo.