Di Giancarlo ALLIONE

A Casteldilato l’amministrazione comunale ha finalmente deciso di riportare dignità ad un comparto, quello della ristorazione, afflitto dal precariato cronico. I ristoratori fino a poco tempo fa erano soggetti ad un crudele meccanismo secondo il quale il loro datore di lavoro, cioè il cliente, poteva in assoluta libertà decidere se andare o non andare, andare qua o là, andare tutti i giorni e poi non andarci più. Pensate, a Casteldilato il cliente poteva addirittura giudicare la prestazione ricevuta, il rapporto qualità prezzo e, ciò che è peggio, parlarne in giro, anche via internet.

Questo meccanismo obbligava i ristoratori a cercare di essere sempre all’altezza, tenendo alta la qualità dei pasti e contenuto il prezzo, in un clima di totale incertezza: ogni giorno fare la spesa senza sapere se i clienti sarebbero venuti oppure no.
È evidente che questo sistema non poteva reggere. Il Comune vi ha perciò posto  rimedio introducendo una serie di importanti correttivi normativi.

Da oggi in poi, il cittadino di Casteldilato ha diritto di scegliere il ristorante dove andare, ma una volta scelto deve andarci per tutta la vita, a un prezzo e un numero di volte mensili prestabilitidal contratto collettivo comunale di settore (ristoranti giapponesi, trattorie, pizzerie, ristoranti vegani ecc.).

Con la nuova norma, se il cliente desidera cambiare ristorante e il ristoratore non è d’accordo a perdere il cliente, questi ha diritto a chiedere che un giudice verifichi se il cliente aveva davvero ragione a voler cambiare ristorante. In ogni caso, la decisione di cambiare ristorante deve sempre essere supportata da una giusta causa, la quale dovrà essere contestata al ristoratore nelle forme opportune, badando però che le contestazioni  non assumano contorni persecutori o di prevaricazione.

Se il giudice non ritiene che vi sia una giusta causa o che non siano state rispettate le forme per cambiare, può condannare il cliente a pagare al ristoratore una somma pari fino al valore corrispondente di tre anni di consumazioni, o in taluni casi può reintegrare il cliente fra gli avventori del ristorante e obbligarlo ad avvalersi del ristorante stesso sine die. Per contro, dietro preavviso, il ristoratore può sempre decidere senza conseguenze di non servire più quel cliente, senza che la motivazione debba essere vagliata da alcun giudice.

Per stemperare un po’ questo schema, il cliente quando entra in un locale per la prima volta può dichiarare che intende andare in quel ristorante solo per un certo tempo, fino a un massimo di un anno. Trascorso un anno, se non intende assumersi l’impegno ad andarci per tutta la vita, può dichiarare che intende continuare ad andare solo per un ulteriore tempo determinato specificando la causale del perché intende andarci solo per un periodo limitato e non per tutta la vita. Trascorso questo secondo periodo, il cliente o si impegna ad andare in quel ristorante per tutta la vita oppure deve cambiare ristorante. Il ristoratore può però chiedere che sia un giudice a verificare se la causale addotta per il ricorso a un ulteriore periodo di tempo limitato sia legittima. Se il giudice non la ritiene tale, il cliente sarà obbligato ad andare in quel ristorante per tutta la vita o a risarcire adeguatamente il ristoratore.

Nella nuova disciplina del contratto di ristorazione è altresì previsto che il ristoratore possa chiudere il locale per un certo periodo di tempo (denominato ferie) nel corso del quale il cliente deve pagare i pasti esattamente come se li avesse consumati, così come può chiudere il locale un certo numero di giorni all’anno (denominati permessi retribuiti) a seconda delle sue personali esigenze. Nei giorni in cui il ristorante è chiuso per permesso retribuito, il cliente paga al ristoratore un prezzo pari al pasto che avrebbe consumato se il ristorante fosse stato aperto. Se il ristorante non ha necessità di chiudere, alla fine dell’anno il cliente deve pagare al ristoratore un numero di pasti pari ai giorni in cui il locale avrebbe potuto rimanere chiuso in permesso.

Se il ristoratore non si sente troppo bene, anche senza preavviso, può chiudere il ristorante. È sufficiente che si rechi dal proprio medico di famiglia e si faccia fare un certificato medicoattestante il malessere. Nei primi giorni di chiusura per malattia, il cliente dovrà pagare al ristoratore il conto esattamente come se avesse pranzato. Se la chiusura si prolunga, il conto del pasto non prodotto e non consumato viene pagato direttamente dal Comune di Casteldilato.

Speciali categorie di ristoranti, non tutti, possono decidere di chiudere per un periodo (anche molti mesi) sulla base di particolari esigenze personali del ristoratore. Questo periodo prende il nome di aspettativa. Nei giorni di chiusura del ristorante il cliente può saltare il pasto, arrangiarsi da solo o ricorrere ad altri ristoranti. Quando però il suo ristorante originario decide di riaprire, è obbligato a tornare a servirsi lì, a nulla rilevando che i ristoratori nel frattempo conosciuti si fossero rivelati migliori e più economici.

Il nonno di Piero, noto disfattista, dice che questa disciplina ridurrà di molto le persone che andranno al ristorante o comunque finirà per favorire i ristoranti dei Comuni vicini, dove puoi andare quando vuoi e quante volte vuoi. Ma, appunto è puro disfattismo.

Il Comune di Casteldilato perciò tira diritto e vuole estendere la nuova disciplina anche ad altre categorie. In prima fila ci sono i professionisti, anche loro vorrebbero tanto che, una volta scelti, il cliente non li potesse più cambiare.