Una modifica al decreto “dignità” prevede che si applichi la disciplina previgente per proroghe e rinnovi dopo il 14 luglio e fino a tale data

Di Mario PAGANO

Per le proroghe e i rinnovi dei contratti a tempo determinato, che avverranno dopo il 14 luglio e fino al 31 ottobre, si applicherà la disciplina previgente alle modifiche introdotte con il DL n. 87/2018 (decreto “dignità”). Questo il risultato di un emendamento approvato dalle Commissioni Finanze e Lavoro della Camera venerdì, quando hanno dato anche il via libera al testo, da oggi all’esame dell’Aula.
La modifica interviene sull’art. 1 comma 2 del decreto, colmando di fatto la totale assenza nel testo di un vero e proprio periodo transitorio.

Si ricorda che in modo del tutto innovativo, rispetto al passato, il decreto “dignità” ha dato vita a un contratto a tempo determinato “acausale” per i primi 12 mesi, comprensivi anche di eventuali proroghe, e con obbligo di presenza di una condizione di validità del termine, per i successivi 12 ovvero in occasione di ciascun rinnovo.
Inoltre, è stata prevista la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato, intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro.

Tanto premesso, occorre interrogarsi circa gli effetti immediati prodotti dalla nuova disciplina.
In tal senso, il comma 2 dell’art. 1 del DL 87/2018, nella versione pubblicata in G.U. lo scorso 13 luglio, prevede che le nuove disposizioni si applichino ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, nonché, diversamente da come dovrebbe risultare a seguito di conversione, ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data.

A ben vedere, la portata degli effetti della nuova disciplina potrebbe essere superiore di quanto possa sembrare da una prima semplice lettura del comma 2 dell’art. 1 appena citato e ciò per l’effetto combinato dell’inserimento delle causali e della riduzione della durata massima da 36 a 24 mesi.

Innanzitutto, dal 14 luglio, chi volesse stipulare un contratto a tempo determinato di durata superiore ai 12 mesi non potrebbe esimersi dall’indicare nel contratto una delle causaliindicate nel comma 1 dell’art. 19 del DLgs. 81/2015, ossia: esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, esigenze sostitutive di altri lavoratori ovvero esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. Allo stesso modo, e qui veniamo al punto più importante rispetto al quale l’emendamento in commento potrebbe risultare risolutivo, per effetto del nuovo comma 01 dell’art. 21 del DLgs. 81/2015, sarà soggetto al medesimo onere anche chi vorrà rinnovare un contratto a tempo determinato, nonché chi vorrà prorogarne uno che ha già avuto una durata superiore ai 12 mesi.

Tali condizioni, come detto, si applicano ai nuovi contratti ma, secondo il testo pre-emendamento, anche a quelli in corso alla data del 14 luglio, con un effetto dirompente in relazione a scelte fatte in passato, quando la disciplina era sostanzialmente differente.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, anche i rapporti a tempo determinato conclusi prima del 14 luglio potrebbero, paradossalmente, generare effetti sui nuovi contratti, stipulati dopo tale data. Appare, infatti, difficile poter negare che il rapporto pregresso, che è intercorso tra le parti, sebbene si sia svolto in vigenza di altra normativa, non possa non avere un peso sui successivi rinnovi o proroghe, che dovessero intervenire in vigenza della nuova disciplina, essendo ad essa necessariamente soggetti.

In altre parole, se un anno fa si è stipulato un contratto a termine di 12 mesi, ove, dopo il 14 luglio, si decidesse di stipularne uno nuovo per le medesime mansioni, questo non potrà avere durata superiore ai 12 mesi e dovrebbe necessariamente prevedere le causali. Allo stesso modo, ove in passato le parti abbiano già raggiunto la soglia dei 24 mesi, non vi sarebbe alcuna possibilità di stipulare, anche in presenza di precise causali, un nuovo contratto per le medesime mansioni.

Grazie all’emendamento questi effetti, per certi versi distorsivi, si attenuano, dal momento che tanto le proroghe, quanto i rinnovi, fino al 31 ottobre, dovrebbero seguire la previgente disciplina, che non prevede causali e che contempla una durata massima dei contratti a termine in sommatoria tra loro e per le medesime mansioni di 36 mesi. Inoltre, sarà facile prevedere, fino al 31 ottobre, una “corsa” a rinnovi e proroghe, che permettano di sfruttare al massimo l’estensione acausale fino a 36 mesi.

In conclusione non va, tuttavia, dimenticato che, sino alla conversione del decreto, l’emendamento in parola non sarà, comunque, operativo e, anche se potrà avere effetto retroattivo, difficilmente potrà cancellare scelte imprenditoriali già fatte in presenza di una disciplina che, in origine, non ha previsto un adeguato periodo transitorio.