Deve però essere attestata l’esistenza del credito senza condizioni di alcun genere

Di Alfio CISSELLO

Con la sentenza n. 698/6/18 dello scorso 10 aprile, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha riconosciuto l’effetto interruttivo della prescrizione, ai fini dell’azione di rimborso contro il diniego tacito, della comunicazione bonaria emessa e notificata dalle Entrate, sebbene a certe condizioni.
L’art. 21 del DLgs. 546/92 stabilisce che il ricorso contro il silenzio tacito opposto a fronte della domanda di rimborso del contribuente può essere notificato entro l’ordinario termine di prescrizione, che, per l’IVA e le imposte sui redditi, è quello decennale.

Si tratta dell’unico caso in cui il ricorso contro l’atto impositivo (tale sarebbe, secondo un’opinione, il silenzio rigetto) può essere presentato entro un termine prescrizionale e non entro il consueto termine decadenziale dei sessanta giorni.
Siccome il termine è di prescrizione, può essere interrotto non solo da atti del contribuente (solleciti di pagamento ad esempio), ma anche da atti provenienti dall’ente impositore.
Entra quindi in gioco l’art. 2944 del codice civile: “la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere”.

Come anticipato in premessa, l’effetto interruttivo può essere riconosciuto, in presenza di determinate condizioni, alla comunicazione bonaria.
Il caso può essere il seguente.
In dichiarazione, il contribuente indica il credito esercitando l’opzione per il rimborso, e da tale momento decorrono i novanta giorni utili per la formazione del silenzio-rifiuto.
Dal novantunesimo giorno decorre la prescrizione decennale.
Magari, a distanza di un anno o più, a seguito di liquidazione automatica, l’Agenzia delle Entrate emette la consueta comunicazione bonaria ove si fa presente la presenza del credito.

Se la menzionata comunicazione riguarda proprio il credito, spesso le Entrate specificano che rimane ferma la potestà di controllo della dichiarazione, quindi possono emergere dubbi sull’effetto interruttivo della prescrizione, considerato che non vi è un riconoscimento incondizionato del credito.

Ma se, come successo nella fattispecie esaminata dalla Regionale della Toscana, la comunicazione bonaria espone come “spettante” il credito senza nulla specificare, non può che verificarsi l’effetto interruttivo della prescrizione.
Ciò può succedere quando l’avviso bonario è emesso ad esempio in relazione al vecchio modello UNICO, in occasione dell’omesso versamento solo di alcune imposte oppure dei contributi previdenziali. Nel contempo, può esserci l’indicazione di un credito IVA (o altra imposta) spettante, senza condizione alcuna.
Secondo i giudici, tra l’altro, “va anche affermato che: non esiste, o non è stato prodotto, alcun documento dell’Ufficio che metta in discussione l’esistenza del credito”.

Riesce davvero difficile comprendere, anche in presenza dell’art. 10 della L. 212/2000, come possa l’Agenzia delle Entrate continuare a coltivare contenziosi su rimborsi spettanti in modo pretestuoso, opponendo il silenzio rigetto e quindi costringendo il contribuente a ricorrere.
Quando si tratta di rimborsi da eccedenza di imposta (acconti superiori al saldo, ritenute eccedenti, IVA a credito emergente da dichiarazione), il rimborso andrebbe prontamente erogato, invece non solo ciò non avviene, ma, in giudizio, si cerca spesso di eccepire la prescrizione (anche quando ci sono atti interruttivi) o la mancata compilazione del VR o, ancora, la mancata indicazione del credito nel bilancio di liquidazione, tutte eccezioni su cui esiste giurisprudenza più che consolidata favorevole al contribuente.

In fattispecie del genere, se il credito non è in contestazione, dovrebbe essere chiara la responsabilità dell’ufficio, che legittima non solo la condanna alle spese, ma anche la responsabilità processuale aggravata.