Secondo la Cassazione, anche per importi di poco superiori alla soglia, tale circostanza evidenzierebbe la non occasionalità delle condotte

Di Ciro SANTORIELLO

L’art. 131-bis c.p. prevede una causa di non punibilità in relazione ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Nel novero degli illeciti per i quali si può applicare questo beneficio rientrano anche diversi reati tributari e in particolare i reati di omesso versamento delle ritenute d’acconto e degli acconti IVA di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del DLgs. 74/2000 nonché il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti ex art. 2 comma 1-bis del DL 463/1983.

Sulla possibilità di applicare il citato art. 131-bis, la Suprema Corte si è dapprima pronunciata in senso affermativo con riferimento alle ipotesi in cui il delitto tributario sia punito nel massimo con pena della reclusione non superiore a cinque anni; il che si verifica praticamente per tutti i reati tributari salvo le fattispecie di cui artt. 23 e 8 del DLgs. 74/2000 (Cass. n. 15449/2015).
Questa impostazione è stata confermata anche con riferimento al reato di omesso versamento IVA, evidenziandosi che in relazione a tale illecito il principale criterio da tenere in considerazione per valutare la sussistenza o meno della particolare tenuità del fatto è rappresentato dall’importo dell’imposta non versata o delle somme dovute e non corrisposte all’amministrazione pubblica.
La Cassazione ha tuttavia adottato un criterio di valutazione assai severo, sotto un duplice profilo.

Da un lato, sono ritenuti penalmente rilevanti e meritevoli di punizione anche omessi versamenti di importi irrisori (ad esempio, Cass. n. 40350/2015 ha escluso la non punibilità con riferimento a un omesso versamento di contributi previdenziali di circa 5.000 euro), per cui inadempimenti relativi a obblighi di versamento di somme nei confronti dell’Erario o delle casse dello Stato vengono di fatto sempre ritenuti penalmente rilevanti.

Dall’altro, una recente decisione (Cass. n. 30882/2018) ha escluso la configurabilità della particolare tenuità del fatto quando il privato abbia omesso il versamento – anche per importi davvero di pochissimo superiori alla soglia di punibilità prevista – per più annualità, giacché tale circostanza evidenzierebbe la non occasionalità delle condotte e quindi l’impossibilità di ricondurre le stesse all’ipotesi di cui all’art. 131-bis c.p.

La recente decisione del 9 luglio presenta poi un ulteriore profilo di interesse. I reati di omesso versamento delle imposte prevedono la rilevanza penale del fatto solo quando si superi una determinata soglia e un determinato importo.
Secondo la Cassazione, se ovviamente non è possibile qualificare come penalmente rilevante un mancato versamento di imposta o di contributi che non risulti superiore alla soglia di punibilità prevista, il giudice può comunque prendere in considerazione tale circostanza – ovvero che negli anni precedenti il privato non ha versato all’Erario quanto dovuto, sia pur senza realizzare alcun reato – per verificare la sussistenza di tutti i presupposti richiesti per escludere la punibilità del fatto per la sua particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis citato.

In sostanza, secondo i giudici di legittimità, il suddetto art. 131-bis, nella misura in cui fa riferimento alla non abitualità del comportamento dell’imputato, consente la considerazione di comportamenti strutturalmente analoghi che, pur non costituenti reato, presentano comunque un disvalore, non essendo stato fatto riferimento alle condotte (da valutare solo in relazione alle loro modalità), ma alla nozione più lata di comportamenti, nella quale possono rientrare anche gli illeciti amministrativi aventi caratteristiche analoghe – se non identiche – eccettuato il superamento della soglia di rilevanza penale.