Assonime analizza le fattispecie in cui l’erogazione è considerata obbligatoria o volontaria

Di Pamela ALBERTI

Assonime, nell’ambito della circolare n. 15/2018, analizza la deducibilità del welfare aziendale.
Lato dipendente, ai sensi della lett. f) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR, le opere e i servizi erogati dal datore di lavoro per le finalità di cui all’art. 100 del TUIR sono esclusi dal reddito del lavoratore sia se erogati su decisione unilaterale e liberale del datore, sia se erogati sulla base di un obbligo assunto dal datore di lavoro per contratto, accordo o regolamento aziendale.

La norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 162 della L. 232/2016 ha poi chiarito, con valenza retroattiva, che la contrattazione collettiva di ogni livello (aziendale, nazionale, interconfederale e territoriale) rappresenta fonte idonea a garantire al dipendente il riconoscimento degli oneri di utilità sociale previsti dalla lett. f) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR ed esclusi da imposizione.

Sulla base dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate (circ. n. 5/2018), devono considerarsi ricompresi nella previsione della lett. f) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR – e, come tali, possono essere oggetto di contrattazione sia a livello nazionale (primo livello) sia decentrata (secondo livello), cioè territoriale e aziendale – anche le somme, i servizi e i contributi erogati dal datore di lavoro per le finalità di educazione e istruzione (art. 51 comma 2 lett. f-bis del TUIR), le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro per la fruizione di servizi di assistenza (lett. f-ter) e i contributi e i premi versati dal datore di lavoro per prestazioni aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie (lett. f-quater).

Assonime evidenzia quindi che la precisazione dell’Agenzia sulla portata della norma di interpretazione autentica rileva non soltanto ai fini IRPEF per il lavoratore (attraverso l’esplicito riconoscimento della non imponibilità, in capo al dipendente, dei benefit di utilità sociale erogati dal datore di lavoro in virtù di contrattazione collettiva nazionale o decentrata) ma anche ai fini della determinazione del reddito d’impresa del datore di lavoro. L’erogazione dei benefit di utilità sociale ai lavoratori è infatti integralmente deducibile, ai sensi dell’art. 95 del TUIR, solo se “obbligatoria”, mentre è consentita nel limite del 5 per mille ai sensi dell’art. 100 del TUIR se “volontaria”.

Posto che l’Agenzia ha chiarito che i benefit previsti dalle lett. f-bis), f-ter) e f-quater) dell’art. 51 del TUIR rappresentano species diverse del più ampio genus costituito dalle opere e dai servizi ricompresi nella lett. f) del medesimo art. 51, Assonime afferma che tutti i benefit di utilità sociale siano assoggettati alla medesima disciplina fiscale non solo ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente ma anche ai fini della determinazione del reddito d’impresa.
Secondo Assonime, un “regolamento aziendale che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale” non può essere assimilato a un’erogazione volontaria, per cui i relativi costi per welfare aziendale sono sempre integralmente deducibili per l’impresa ex art. 95 del TUIR.

Viene altresì evidenziato che il regolamento inidoneo a garantire l’integrale deducibilità dei costi per un piano welfare è quello a carattere “elusivo”, predisposto al solo fine di ottenere l’applicazione di un più favorevole regime fiscale (cioè l’integrale deduzione del costo in luogo della sua deducibilità nel limite del 5 per mille). In questa prospettiva, sono viceversa idonei a garantire l’integrale deducibilità dei costi per piani di welfare di utilità sociale non solo i “piani welfare” erogati sulla base di un regolamento aziendale “attuativo” di un accordo collettivo, ma anche i “piani welfare” erogati sulla base di un regolamento aziendale unilateralmente predisposto dal datore di lavoro che però lo vincoli effettivamente a riconoscere un diritto al lavoratore.

Tale impostazione troverebbe conferma anche in una risposta resa dall’Agenzia delle Entrate non ancora pubblicata (interpello n. 913-807/2017), nella quale si affermerebbe che la previsione della “possibilità di apportare variazioni, integrazioni o modifiche in corso di validità del piano, qualora si rendesse necessario dall’evolversi della normativa” valga a escludere la natura obbligatoria dell’erogazione.

Pertanto, secondo Assonime, un regolamento aziendale che non sia “revocabile” o modificabile dal datore di lavoro ad nutum o in relazione all’evoluzione normativa non può essere assimilato a un atto volontario del datore di lavoro; coerentemente, dal piano di welfare previsto nel suddetto regolamento dovrebbero emergere, in capo al datore di lavoro, costi integralmente deducibili dal reddito d’impresa ai sensi dell’art. 95 del TUIR. Viceversa, per i piani di welfare liberamente modificabili dal datore di lavoro, dovrebbe trovare applicazione la deducibilità limitata prevista dall’art. 100 comma 1 del TUIR.