Credito e debito devono essere riferibili allo stesso contribuente

Non sussiste, in capo all’associazione professionale, il diritto di compensare, in maniera diretta e integrale, i propri debiti fiscali con il credito rinveniente, in capo ai singoli associati, dalle ritenute subite. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 13638 depositata ieri, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della C.T. Reg. che aveva ritenuto legittimo l’utilizzo in compensazione ex art. 17 del DLgs. 241/97, da parte dell’associazione professionale, di crediti d’imposta derivanti da ritenute d’acconto sui compensi corrisposti dai clienti, con i debiti dell’associazione.

Nel caso di specie, l’Ufficio deduceva come la Commissione tributaria regionale non avesse considerato la circostanza che:
– le ritenute complessivamente subite dall’associazione erano pari a 148.808,26 euro;
– l’importo dichiarato ed effettivamente utilizzato a scomputo dai singoli associati era pari a 76.777 euro, con conseguente eccedenza di ritenute subite ma non utilizzate pari a 72.031,26 euro;
– l’ammontare delle ritenute compensate dall’associazione nel modello F24 era pari a 92.952,31.

Ne risultava, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, un’indebita compensazione, sia sotto il profilo quantitativo (per 20.921,05 euro), sia sotto il profilo soggettivo, posto che, a norma dell’art. 22 del TUIR gli unici soggetti legittimati allo scomputo delle ritenute sono esclusivamente i singoli soci o associati; né, secondo l’Ufficio, poteva essere fatta valere l’interpretazione estensiva fornita dall’Amministrazione finanziaria con la circ. n. 56/2009, la quale ammette lo scomputo, da parte dell’ente collettivo, delle ritenute subite soltanto nella porzione eccedente quella utilizzata dai singoli soci o associati ad azzeramento del proprio debito IRPEF.

La Suprema Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, evidenziando come la facoltà di compensazione ammessa dall’art. 17 del DLgs. 241/97 presuppone, sul piano oggettivo, la riferibilità dei crediti opposti in compensazione allo stesso periodo di maturazione del debito, nonché, sul piano soggettivo, la riferibilità allo stesso contribuente (indipendentemente dall’identità dell’ente percettore).

Nel caso prospettato, l’associazione professionale ha utilizzato in compensazione dei propri debiti verso l’Amministrazione finanziaria i crediti maturati dai singoli associati, ovvero soggetti diversi ed autonomamente ammessi allo scomputo in ragione della diretta imputazione, per trasparenza, dei redditi derivanti dall’attività esercitata in forma associata.
A supporto, sono richiamate alcune precedenti pronunce e nello specifico, la Cassazione n. 16964/2012, in base alla quale l’art. 17 del DLgs. 241/97, nell’ammettere la compensazione, in sede di versamenti unitari delle imposte, ne ha limitato l’applicazione alle ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, nonché la Cassazione n. 1538/2017 che ha escluso la compensabilità da parte dello studio professionale del credito per ritenuta maturato in capo al singolo associato, nel presupposto che, ai fini della compensazione, il credito spetti allo stesso contribuente e non a soggetti di imposta diversi.

In tale contesto, la Suprema Corte esamina altresì l’apertura fornita dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 56/2009, la quale riconosce la possibilità per l’ente collettivo di avocare a sé le ritenute subite dai singoli soci o associati al fine di portarli in compensazione dei propri debiti fiscali e contributivi; tale facoltà, tuttavia, è espressamente ammessa solo per quota di credito residuata all’esito dello scomputo dell’intero debito IRPEF da parte dei singoli soci o associati. L’utilizzo del credito d’imposta richiede, inoltre, il preventivo assenso dei soci o associati, da manifestare in apposito atto avente data certa (es. scrittura privata autenticata) o nello stesso atto costitutivo, e l’indicazione del credito nella dichiarazione annuale dell’ente collettivo.

I suddetti presupposti non ricorrono, sanciscono i giudici di legittimità, qualora l’associazione professionale rivendichi il diritto di far valere in compensazione parte dell’ammontare delle ritenute da essa subite nella liquidazione dei compensi a carico della clientela “e non distribuite agli associati”; ad avviso della Cassazione, infatti, la compensazione avvenuta scontando direttamente i crediti spettanti agli associati a decurtazione dei propri debiti verso l’Amministrazione finanziaria viola il disposto dell’art. 22 del TUIR, nella parte in cui stabilisce che “le ritenute operate sui redditi delle società, associazioni e imprese indicate nell’articolo 5 si scomputano, nella proporzione ivi stabilita, dalle imposte dovute dai singoli soci, associati o partecipanti”. La suddetta compensazione diretta ed integrale trova quindi un impedimento nella riferibilità soggettiva delle diverse poste.
Dalla lettura delle sentenza sembrerebbe emergere un’implicita validazione da parte della Suprema Corte dei contenuti della circ. n. 56/2009.