Superate le precedenti indicazioni relative alle società tra avvocati

La recente ris. Agenzia delle Entrate n. 35/2018 offre lo spunto per tornare sulla qualificazione dei redditi prodotti dalle società tra professionisti (STP), costituite ai sensi dell’art. 10 comma 3-8 della L. 183/2011 e del relativo DM attuativo 34/2013.
Infatti, per quanto il citato documento di prassi affronti lo specifico caso della qualificazione dei redditi prodotti dalle società tra avvocati ex art. art. 4-bis della L. 247/2012, in esso si rinvengono alcuni principi che paiono assumere rilevanza generale.

Si ricorda che, in base alla L. 183/2011 e al DM 34/2013, la STP può essere costituita nella forma di:
– società di persone;
– società di capitali;
– società cooperative, con un numero di soci non inferiore a 3.
La STP non rappresenta un nuovo tipo societario, applicandosi le regole proprie del modello societario adottato, salvo le deroghe e le integrazioni previste dalla disciplina speciale (si veda, per tutti, la circ. CNDCEC n. 32/IR/2013).

Prima che sulla questione si pronunciasse l’Amministrazione finanziaria, la circ. CNDCEC n. 34/IR/2013 – pur auspicando che fosse il legislatore a stabilire espressamente la riconducibilità dei redditi prodotti dalle STP alla categoria dei redditi di lavoro autonomo – aveva evidenziato la specificità dell’oggetto sociale e il contenuto prettamente intellettuale dell’attività rispetto al quale i supporti organizzativi e strumentali assumono un ruolo del tutto secondario.
E, in tal senso, aveva disposto l’art. 27 del disegno di legge governativo S 958 recante “Misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese e di riordino normativo” presentato il 23 luglio 2013, successivamente espunto nel corso dei lavori parlamentari.

Diversamente, l’Agenzia delle Entrate, nella risposta all’interpello n. 954-93/2014 e nella consulenza giuridica n. 954-55/2014, ha osservato che, ai fini della qualificazione dei redditi delle STP, non assume alcuna rilevanza l’esercizio dell’attività professionale, posto che tali società non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice civile e, come tali, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto.
Di conseguenza, trovano conferma le previsioni degli artt. 6 comma 3 e 81 del TUIR, per effetto delle quali il reddito complessivo delle snc e sas e delle società commerciali di cui alle lett. a) e b) dell’art. 73 comma 1 del TUIR è considerato reddito d’impresa, da qualsiasi fonte provenga, con l’applicazione, tra l’altro, del principio di competenza in luogo di quello di cassa.

Tali considerazioni sono state riprese dalla citata ris. n. 35/2018, nella quale si legge che, per le società tra avvocati ex art. 4-bis della L. 247/2012, “sembra difficile valorizzare l’elemento oggettivo della professione forense esercitata a discapito dell’elemento soggettivo dello schermo societario” (nello stesso senso, la nota del Dipartimento delle Finanze n. 43619/2017).
In senso conforme si era pronunciata la ris. 56/2006, che aveva qualificato come d’impresa il reddito prodotto da una società di ingegneria costituita in forma di srl.

La risalente ris. n. 118/2003 aveva, invece, considerato di lavoro autonomo i redditi prodotti dalle società tra avvocati disciplinate dal DLgs. n. 96/2001. Come affermato dalla ris. n. 35/2018, tale differente qualificazione era riconducibile alla circostanza che il citato DLgs. n. 96/2001 individuava un nuovo modello societario assoggettato a una autonoma disciplina; pertanto, il rinvio alle disposizioni che regolano la snc, contenuto nell’art. 16 del medesimo DLgs., operava ai soli fini civilistici, in quanto consentiva di determinare le regole di funzionamento del modello organizzativo, mentre ai fini fiscali, per ragioni di coerenza del sistema impositivo, occorreva dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività svolta.

Posto che, per effetto dell’art. 4-bis della L. 247/2012, la disciplina delle società tra avvocati prevista dal DLgs. n. 96/2001 è, di fatto, superata, appare ormai consolidata la riconducibilità tra i redditi d’impresa dei proventi prodotti dalle STP, salvo che per quelle costituite in forma di società semplici. Per queste ultime, rimane ferma la qualificazione di reddito di lavoro autonomo dei proventi conseguiti, con l’applicazione, tra l’altro, del criterio di cassa al posto di quello di competenza.

Dovrebbe valere la tutela del legittimo affidamento e della buona fede

In ogni caso, si pone il problema di stabilire che cosa accade per i soggetti (come le società di avvocati exDLgs. 96/2001) che, in passato, hanno assoggettato i redditi prodotti alle regole proprie del lavoro autonomo e, quindi, hanno applicato, ad esempio, il principio di cassa e non quello di competenza.
In attesa degli opportuni chiarimenti, in ipotesi come questa dovrebbe valere il principio della tutela dellegittimo affidamento e della buona fede (art. 10 della L. 212/2000, c.d. Statuto del contribuente), con la conseguente esclusione di sanzioni e interessi.