Secondo i giudici di legittimità la tutela non può essere recuperata nel ricorso contro l’atto successivo

Con l’ordinanza n. 4614 depositata il 28 febbraio 2018 la Corte di Cassazione ha escluso il legittimo affidamento generato da un atto di annullamento in autotutela e sancito che “l’attuazione del principio dell’affidamento non può che soggiacere alle ordinarie regole processuali, sicché, il contribuente che intenda contestare una pretesa ritenuta illegittima anche per violazione della L. n. 212/2000 art. 10, comma 1, ha l’onere di proporre tempestivamente ricorso, non potendosi ricollegare alla pretesa condotta contraddittoria tenuta dal Comune una vera e propria remissione in termini rispetto all’impugnazione dell’avviso”.

Nel caso in analisi il contribuente aveva ottenuto l’annullamento in autotutela di un primo atto di accertamento.
Successivamente, riceveva un secondo atto di accertamento emesso per la medesima imposta e annualità avverso il quale non presentava il ricorso ritenendolo frutto di un mero errore dell’Ufficio.
Il ricorso veniva presentato solo al ricevimento delle cartelle di pagamento formulando motivi afferenti anche l’avviso di accertamento.

Come ricordato pure dai giudici con la richiamata ordinanza, l’“affidamento”, valore desumibile dai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., ha trovato la sua massima concretizzazione nella tutela dell’affidamento del contribuente, laddove il legislatore, con l’art. 10, comma 2 della L. n. 212/2000, ha chiaramente affermato che “non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”.

Dall’analisi della disposizione richiamata si rileva che “l’affidamento” degno di tutela (che, quindi, genera l’inapplicabilità delle sanzioni e degli interessi, e secondo parte della giurisprudenza può arrivare a determinare l’inapplicabilità dell’imposta, cfr. Cass. n. 21513/2006; contraria, tra le altre, Cass. n. 17576/2002) consegue da atti “ufficiali” dell’Amministrazione finanziaria.
Tuttavia, nel caso in analisi, il legittimo affidamento richiamato dal contribuente non può considerarsi “degno” di tutela nella sede in cui è stato invocato, stante la mancata tempestiva impugnazione del secondo avviso di accertamento ricevuto.

Vincono le preclusioni processuali

Pur ritenendo non solo opportuno ma assolutamente necessario nelle situazioni dubbie impugnare sempre un atto piuttosto che rischiare la cristallizzazione del rapporto, si ritiene che la limitazione introdotta con l’ordinanza (il legittimo affidamento avrebbe potuto trovare tutela in sede di impugnazione) abbia di fatto vanificato la tutela dell’affidamento.