La Corte di Giustizia ammette la possibilità di alcune limitazioni al «ne bis in idem» purché sia rispettato il principio di proporzionalità

Nella giornata di ieri la Corte di Giustizia Ue è tornata a occuparsi della possibilità di cumulo tra sanzioni penali e amministrative ammettendo la possibilità di alcune limitazioni al cosiddetto principio del “ne bis in idem”, a tutela della riscossione integrale dell’IVA ovvero dell’integrità dei mercati finanziari.
Si tratta delle sentenze relative alle cause C-537/16 in materia di manipolazione del mercato, C-524/15 in materia di omesso versamento dell’IVA e alle cause riunite C-596/16 e C-597/16 in relazione all’abuso di informazioni privilegiate.

Punto di connessione tra tali illeciti è quello di poter dare luogo sia a una sanzione di natura penale, sia a una o più sanzioni di natura amministrativa. Le condotte di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato sono, infatti, previste dal TUF come delitti – rispettivamente, agli artt. 184 e 185 del DLgs. 58/1998 – e come illeciti di competenza della Consob, che può irrogare severe sanzioni di natura pecuniaria (artt. 187-bis e 187-ter del medesimo decreto). Similmente, l’omesso versamento IVA rileva penalmente ai sensi dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, restando allo stesso tempo sanzionabile in forza dell’art. 13 del DLgs. 471/1997.

Va ricordato che il ne bis in idem è un principio fondamentale del diritto, volto a impedire la duplicazione di procedimenti e condanne in relazione ai medesimi fatti. A livello internazionale esso è sancito dall’art. 4 prot. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), poi recepito nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Nell’ordinamento italiano tale principio è espressamente richiamato dall’art. 649c.p.p.: di per sé, esso non sarebbe direttamente applicabile ai rapporti tra sanzioni penali e altre tipologie di sanzioni (amministrative, civili, disciplinari), ma proprio in forza dell’interpretazione sostanziale della “materia penale” nella giurisprudenza CEDU, numerosi problemi si sono posti in merito alla possibile convivenza di sanzioni penali e sanzioni amministrative connotate da una particolare severità.

Per tale ragione, la Corte di Lussemburgo viene investita delle questioni sopra ricordate e nelle motivazioni delle tre pronunce coglie l’occasione per precisare che una limitazione del principio del “ne bis in idem”, come garantito all’art. 50 della Carta dei diritti, può essere giustificata sul fondamento dell’art. 52 della medesima Carta. In tale ultima norma viene stabilito che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla stessa Carta devono essere previste dalla legge e devono rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Inoltre, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni a tali diritti e libertà solo qualora siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

Laddove, dunque, un ordinamento consenta il cumulo di procedimenti e di sanzioni unicamente a condizioni fissate in modo tassativo dalla legge, non si ha una violazione del ne bis in idem.
Tali argomentazioni vengono ripetute in tutti e tre i procedimenti, sebbene con sfumature e conclusioni differenti dovute alla diversa natura dei reati contestati e alle diverse circostanze fattuali.

Per quanto riguarda gli omessi versamenti IVA, è ammissibile una normativa nazionale in forza della quale sia possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di “natura penale”. Ciò vale, però, a condizione che siffatta normativa sia volta a un obiettivo di interesse generale tale da giustificare il cumulo di procedimenti e di sanzioni (come la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto), fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari.
Devono inoltre, essere previste norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario sia l’onere supplementare sia la severità che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti. Spetta, comunque, al giudice nazionale accertare che la risposta sanzionatoria non sia eccessiva rispetto alla gravità del reato commesso.

Per quanto riguarda i reati finanziari vengono in generale ribaditi i medesimi principi in materia di ne bis in idem, ma la Corte è chiamata a soffermarsi sui rapporti tra i procedimenti, dal momento che, nei casi in esame, erano state già pronunciate delle sentenze penali in via definitiva. In caso di assoluzione “piena”, per mancanza elementi costitutivi del fatto illecito (C-596/16 e C-597/16), viene ritenuta “eccessiva” la prosecuzione del procedimento amministrativo. Allo stesso modo, non sarebbe legittima un’ulteriore sanzione amministrativa nel caso in cui la condanna penale (C-537/16), tenuto conto del danno causato dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.