Opera la decadenza biennale dal pagamento delle somme da disclosure

Il contribuente, dopo aver aderito alla voluntary discolosure, ha diritto al rimborso dell’euroritenuta di cui all’art. 11 della direttiva 2003/48/CE precedentemente subita.
Così si è espressa la Commissione tributaria provinciale di Genova il 6 novembre 2017 con la pronuncia n. 1341/2/17.
Il caso riguardava un contribuente possessore di capitali in Svizzera nel periodo 2010-2013 il quale, al fine di regolarizzarli aveva presentato istanza per la collaborazione volontaria ai sensi della L. 186/2014.

Per tali annualità, però, egli era soggetto alla c.d. euroritenuta, che si aggiunge all’imposta ordinaria dovuta nello Stato estero da applicare sugli interessi che si originano da attività finanziarie detenute negli Stati che, al fine di tutelare il segreto bancario, avevano deciso di non aderire al sistema di scambio automatico di informazioni tra le Amministrazioni fiscali relativo agli interessi corrisposti alle persone fisiche non residenti, previsto dalla direttiva 2003/48/CE (c.d. “direttiva risparmio”).

L’euroritenuta comporta un prelievo con l’aliquota del 35% sull’ammontare degli interessi proporzionale al periodo di detenzione delle attività finanziarie da parte del beneficiario.
Occorre, inoltre, precisare che tale imposizione è stata soppressa per effetto dell’entrata in vigore degli strumenti di scambio di informazioni di tipo automatico grazie alla direttiva 2015/2060/UE.
Per evitare problemi di doppia imposizione, entra in gioco l’art. 10 del DLgs. 84/2005, grazie al quale se il contribuente italiano era già stato soggetto ad euroritenuta era riconosciuto un credito d’imposta ex art. 165 del TUIR.

Nella vicenda in esame, in sede di liquidazione delle somme da collaborazione volontaria l’Ufficio non aveva provveduto allo scomputo dell’euroritenuta, concretizzando, in tal modo, una doppia imposizione.
Alla luce di ciò, il contribuente aveva presentato istanza di rimborso, su cui, però, si era espressa negativamente l’Amministrazione finanziaria, sulla base dell’art. 165 comma 8 del TUIR, che esclude la possibilità di detrarre le imposte subite all’estero in caso di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata.
Tali conclusioni vengono però disattese dalla Commissione tributaria, che giunge a riconoscere il diritto al rimborso dell’euroritenuta.

Per prima cosa, i giudici si soffermano su un aspetto dirimente: il termine applicabile, nella nostra ipotesi, non è l’art. 38 del DPR 602/73 bensì l’art. 21 del DLgs. 546/92, e, sebbene ciò non emerga espressamente, deve ritenersi che il termine biennale di decadenza ivi indicato decorra dal pagamento delle somme dovute in occasione della voluntary disclosure.

Bisogna evitare la doppia imposizione

È da rigettare, ad avviso dei giudici, l’idea che l’art. 165 del TUIR ammetta la compensazione delle imposte pagate all’estero con quelle italiane solamente nell’ipotesi in cui queste risultino indicate in dichiarazione, perché se così fosse sarebbe preclusa la possibilità di vedersi rimborsata l’euroritenuta in tutti i casi di voluntary disclosure, verificandosi così, ogni volta, una doppia imposizione.

Ritengono, in sostanza, applicabile l’art. 10 del DLgs. 84/2005, che ammette il rimborso dell’euroritenuta ove non sia applicabile l’art. 165 TUIR.
La sentenza in commento si inserisce in un filone interpretativo che sta prendendo piede nella giurisprudenza di merito (sul punto, C.T. Prov. Varese 30 maggio 2017 n. 309/3/17, C.T. Prov. Milano 9 gennaio 2018 nn. 1920 e 21/11/18).