Impossibile l’equiparazione con la soglia di 150.000 euro della dichiarazione infedele

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-quater del DLgs. 74/2000 (indebita compensazione), nel testo anteriore alle modifiche operate dal DLgs. 158/2015, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dall’ordinanza 11 novembre 2016 del Tribunale di Busto Arsizio, con riguardo ad un caso in cui l’imputato aveva utilizzato in compensazione crediti inesistenti per circa 125.000 euro. Ad affermarlo è la sentenza n. 35 della Corte Costituzionale, depositata ieri.

La versione originaria della fattispecie censurata dal Tribunale di Busto Arsizio prevedeva, per l’utilizzo in compensazione ex art. 17 del DLgs. 241/1997 di crediti non spettanti o inesistenti, attraverso la tecnica del rinvio, la pena della reclusione da sei mesi a due anni, sempre che l’omesso versamento risultasse di ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta. Tale formulazione è ancora potenzialmente applicabile.

Il DLgs. 158/2015, infatti, ha scisso la fattispecie in due figure delittuose: la prima, attinente ai crediti non spettanti, punita ancora con la reclusione da sei mesi a due anni; la seconda, attinente, come nella specie, ai crediti inesistenti, punita con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Ferma, in entrambi i casi, la necessità del superamento dell’importo annuo di 50.000 euro. Di conseguenza, in quest’ultima ipotesi attinente al caso in questione, in forza dell’art. 2 comma 4 c.p., resta applicabile la norma originaria più favorevole. Peraltro, il DLgs. 158/2015, novellando anche l’infedele dichiarazione di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000, ne ha innalzato la soglia di punibilità a 150.000 euro, con una modifica che, essendo favorevole, trova applicazione anche in rapporto ai fatti anteriormente commessi (compresi quelli coevi alla vicenda di indebita compensazione di cui si discute).

A fronte di ciò, quindi, guardando al complesso della disciplina applicabile al momento del reato, il Tribunale di Busto Arsizio ritiene di trovarsi in presenza di due fattispecie pienamente omogenee sul piano del disvalore, venendo in entrambi i casi represse condotte commissive a carattere decettivo che implicano una rappresentazione documentale non veritiera della realtà. E, tuttavia, la dichiarazione infedele, pur essendo punita con una pena più elevata di quella prevista dal testo originario dell’art. 10-quater del DLgs. 74/2000, anche nell’ipotesi di utilizzazione di crediti inesistenti, prevede una soglia penale addirittura tripla rispetto a quest’ultima, rendendo irragionevole il minor limite previsto per la fattispecie contestata.
La tesi non è condivisa dalla Corte Costituzionale.

Le fattispecie poste a confronto, infatti, si presentano eterogenee per oggetto materiale, condotta tipica e – almeno secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale – anche per sfera di tutela.
Quanto all’oggetto materiale, nel primo caso, il mendacio del contribuente si esprime nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’IVA; nel secondo, invece, in un documento fiscale con distinte caratteristiche e funzioni, qual è il c.d. modello F24.

Con riguardo alla condotta tipica, poi, è vero che, a seguito della modifica della norma definitoria di cui all’art. 1 comma 1 lett. b) del DLgs. 74/2000 (sempre ad opera del DLgs. 158/2015), la nozione di “elementi attivi o passivi” comprende non più soltanto “le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili”, ma anche “le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta”.

E, quindi, è altrettanto vero che, in astratto, tale aggiunta potrebbe far pensare che la dichiarazione infedele possa attualmente commettersi anche attraverso l’esposizione di crediti di imposta inesistenti (ovvero con una condotta simile a quella richiesta per l’integrazione del delitto di indebita compensazione). Ma la precisazione contenuta nella norma definitoria deve ritenersi strettamente correlata solo alla nuova formulazione della dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (in ogni caso, peraltro, la valenza innovativa della nuova norma definitoria, ampliando l’area del penalmente rilevante, non potrebbe applicarsi retroattivamente).

In ordine, infine, alla sfera di tutela, mentre la sola compensazione ammessa in sede di presentazione della dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’IVA è quella “verticale”, in sede di versamento unitario, può procedersi anche (o, secondo taluni, soltanto) alla compensazione “orizzontale”, ossia tra imposte diverse. Anzi, la prevalente giurisprudenza (cfr. Cass. nn. 7557/20165177/2015 e 13996/2012), nonostante il DLgs. 74/2000 si riferisca nel titolo alle sole imposte dirette ed all’IVA, tende ad ammettere che la fattispecie di indebita compensazione sia volta a reprimere l’omesso versamento di somme attinenti a tutti i debiti, siano essi tributari o meno, per il cui pagamento deve essere utilizzato il modello di versamento unitario.

In difetto di omogeneità tra le fattispecie, quindi, non è possibile, innanzitutto, trarre dalla differente pena edittale argomenti a sostegno dei dubbi prospettati. Ed inoltre, la quantificazione della soglia di punibilità risponde a logiche distinte e non sovrapponibili a quelle attinenti alla determinazione delle pene, con esclusione di qualsiasi necessaria proporzionalità rispetto a queste.

Da ultimo, si deve anche considerare come per la verifica del superamento della soglia di punibilità della dichiarazione infedele si debba aver riguardo alle “singole imposte”, che, di conseguenza, non si sommano, mentre, nell’indebita compensazione, il superamento della soglia di punibilità va determinato tenendo conto della somma complessiva non versata dal contribuente, senza distinguere tra i diversi titoli debitori. Con la conseguenza che, anche ipotizzando una indebita compensazione posta a tutela della sola imposizione diretta e dell’IVA, l’innalzamento della soglia a 150.000 euro non sarebbe comunque in grado di garantire una effettiva equiparazione tra le due fattispecie.