L’evidenza delle condotte illecite rende la condotta dolosa a prescindere dalla professionalità

Di Maurizio MEOLI

Quando le violazioni contabili/amministrative poste in essere dagli amministratori sono particolarmente evidenti, difficilmente i sindaci possono sfuggire alla condanna per concorso in bancarotta fraudolenta documentale impropria, a prescindere dalla qualifica professionale in concreto posseduta.
Sono queste le indicazioni che appare possibile desumere dalla sentenza n. 1385/2018 della Cassazione.

Nel caso di specie gli amministratori di una cooperativa a responsabilità limitata venivano condannati per bancarotta fraudolenta documentale impropria avendo integralmente sottratto le scritture contabili della società relativamente a un determinato periodo e avendole tenute, nel periodo successivo, in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (come richiesto dal combinato disposto degli artt. 216 comma 1 n. 2 e 223 comma 1 del RD 267/1942). Per il reato venivano condannati, a titolo di concorso omissivo, anche i sindaci, non avendo espletato la dovuta attività di controllo (anzi, per oltre due anni, neppure risultava che si fossero riuniti).

Contro la decisione di merito i sindaci ricorrevano in Cassazione. Si eccepiva, innanzitutto, la non configurabilità della bancarotta documentale fraudolenta, ma solo di quella semplice, avendo assunto l’incarico in un momento (nel 2002) a partire dal quale le scritture contabili risultavano solo irregolarmente tenute. Si riteneva, inoltre, non provata l’effettiva incidenza causale della condotta omissiva rispetto all’evento.
Si contestava, infine, la mancata considerazione della circostanza che essi, come consentito dalla disciplina all’epoca applicabile, non disponevano di alcuna competenza in materia (erano, infatti, semplici agricoltori); condizione che avrebbe dovuto far propendere per la configurabilità di una condotta meramente colposa, con integrazione della meno grave ipotesi di bancarotta documentale semplice.

La Suprema Corte rigetta il ricorso.
Quanto al primo profilo, si osserva come dal giudizio di merito emerga che anche in relazione al periodo in cui i sindaci avevano esercitato le proprie funzioni le scritture contabili risultavano tenute, come richiesto dall’art. 216 comma 1 n. 2 del RD 267/194, in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. In particolare, il libro giornale scritturato fino al 31 dicembre 2002 non era vidimato, rendendo impossibile ricostruire le giornaliere operazioni di dare/avere, e i bilanci degli esercizi 2002/2004 non risultavano approvati (perché – sembrerebbe implicitamente desumibile – non predisposti dall’organo amministrativo); circostanza, quest’ultima, di grande rilievo, dal momento che alla cooperativa erano in quel periodo pervenute, attraverso contributi pubblici, ingenti risorse economiche.

Quanto al secondo aspetto, la Suprema Corte ricorda che i componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta fraudolenta, commesso dall’amministratore della società, anche per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2403 e ss. c.c. Doveri, questi, che non si esauriscono nella mera verifica (contabile) della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali (cfr. Cass. n. 18985/2016).

Sussiste, quindi, la responsabilità del collegio sindacale, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta, qualora si ravvisino puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l’omissione del potere di controllo – e, pertanto, l’inadempimento dei poteri/doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso a impedire le condotte degli amministratori – assume un evidente carattere di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo potrebbe consentire la commissione di illiceità da parte degli amministratori (cfr. Cass. n. 26399/2014).

Rispondono, quindi, di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta documentale i sindaci imputati che, a fronte dell’inattendibilità dei dati contenuti nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2001 e della mancata approvazione dei bilanci degli esercizi successivi, non si erano attivati e neppure avevano tenuto, per oltre due anni, riunioni (per le quali neppure esisteva un registro). Tali macroscopiche omissioni, in uno con il fatto che i sindaci erano altresì soci, danno conto, chiaramente, del nesso di causalità rispetto al permanere dell’irregolare tenuta della contabilità in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società.

Con riguardo all’ultimo profilo del ricorso, infine, la decisione in commento sottolinea come nessun rilievo possa essere attribuito, in funzione dell’esclusione dell’elemento soggettivo, a un’eventuale assenza di dimestichezza nell’espletamento della funzione tecnica di sindaco. Gli inadempimenti accertati, infatti, e, soprattutto, la mancata approvazione dei bilanci d’esercizio, sono violazioni talmente macroscopiche da consentire di escludere una mera colpa, essendo gli elementi suddetti convergenti verso la volontarietànell’omissione.