Se le false scritture contabili servono a occultare la distrazione si configurano due diversi reati

Di Maria Francesca ARTUSI

I reati di bancarotta fraudolenta possono essere integrati da molteplici condotte che il legislatore suddivide in tre macro-categorie: la bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 comma n. 1 del RD 267/1942), la bancarotta fraudolenta documentale (art. 216 comma 1 n. 2) e la bancarotta fraudolenta preferenziale (art. 216 comma 3), a loro volta comprensive di diverse modalità concrete di realizzazione.
La Corte di Cassazione – nella sentenza n. 55409 depositata ieri – ha affrontato un caso in cui venivano contestualmente contestate la distrazione (bancarotta patrimoniale) e la falsificazione delle scritture contabili (bancarotta documentale) commesse in relazione a una società a responsabilità limitata.

Tale società era costituita da due soci in rapporto di matrimonio, l’uno con il ruolo di amministratore unico e l’altro con ruolo di amministratore di fatto, e operava nell’ambito del mercato immobiliare. Le cause del dissesto sono state individuate nelle cospicue “perdite gestionali”, evidenziate nel bilancio da cui emergevano debiti verso l’Erario e gli istituti previdenziali per quasi 700.000 euro, negli “abnormi” movimenti di cassa e nell’utilizzo delle disponibilità societarie per scopi extra-sociali e per spese sproporzionate alla capacità patrimoniale.
In particolare, nel giudizio di merito, erano state accertate sia condotte distrattive di somme di denaro – pari a circa 540.000 euro annotati nella voce contabile “crediti diversi” – e di alcuni immobili, sia condotte dissipative, poste in essere mediante destinazione delle risorse sociali al pagamento di ingenti spese personali e familiari, per una somma complessiva che superava gli 800.000 euro.

La questione posta alla Cassazione riguarda il possibile assorbimento della bancarotta documentale nella bancarotta per distrazione, laddove il fatto contestato sia il prelievo per cassa di risorse sociali, occultato nelle scritture contabili attraverso la falsificazione ideologica della contabilità.

La possibile configurazione del concorso apparente di norme nei reati fallimentari era già stata affrontata dalle Sezioni Unite, che hanno concluso ritenendo che più condotte tipiche di bancarotta, poste in essere nell’ambito di uno stesso fallimento, mantengono la propria autonomia ontologica e danno luogo a un concorso di reati, che vengono unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico delle pene (Cass. SS.UU. n. 21039/2011). Il concorso apparente di norme – derivante dal principio del ne bis in idemsostanziale – si configura, invece, quando il medesimo fatto può in astratto integrare più violazioni di disposizioni penali differenti, ma in virtù di un “assorbimento” o di una “specialità” di una condotta rispetto all’altra il giudice è, in realtà, tenuto ad applicare una sola di esse (un solo reato e, dunque, una sola sanzione).

Nel caso in esame, i giudici di legittimità richiamano l’orientamento delle Sezioni Unite e precisano che la condotta distrattiva accertata incide sulle componenti attive del patrimonio sociale determinandone una modificazione effettiva, mentre la condotta di falsificazione delle scritture contabili non comporta di per sé alcuna alterazione effettiva o fittizia della situazione patrimoniale. Quest’ultima, anzi, è posta in essere proprio per occultare la citata distrazione e dunque rende più difficoltosa, se non impossibile, la ricostruzione del patrimonio e delle attività della società da parte degli organi fallimentari.
Da ciò deriva che le due condotte non integrano il “medesimo fatto storico”, bensì restano distinte e conseguenti, essendo finalizzata l’una a occultare l’altra. Per tale ragione, non si pone alcuna questione di ne bis in idem, né di concorso apparente, dovendo essere contestati i due differenti reati della bancarotta patrimoniale e della bancarotta fraudolenta.

La Cassazione precisa, inoltre, che integra la distrazione il conferimento di un immobile a una new.co con la previsione di un corrispettivo nominale pari alla quota di partecipazione (di valore, peraltro, irrisorio), a fronte del mantenimento del mutuo corrispondente con un istituto bancario da parte della società fallita che ha effettuato il conferimento.

Altro aspetto toccato dalla sentenza in commento riguarda il ruolo dell’amministratore di fatto nel caso dell’avvenuto dissesto. Anche qui, la Suprema Corte richiama un orientamento consolidato che individua indici sintomatici per l’accertamento della responsabilità del soggetto di fatto nell’ambito della bancarotta, come il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti (di recente, Cass. n. 8479/2017).

La prova dell’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione – di cui all’art. 2639 c.c. – non comporta, infatti, necessariamente l’accertamento dell’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, essendo sufficiente la sussistenza di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.