Entra in vigore la legge europea 2017, che aggiunge un nuovo reato presupposto al DLgs. 231/2001

Di Maria Francesca ARTUSI

Si allunga ulteriormente il catalogo dei reati presupposto per la responsabilitàamministrativa degli enti. Dopo il recente inserimento del reato di immigrazione clandestina all’art. 25-duodecies del DLgs 231/2001, entra oggi in vigore il nuovo art. 25-terdecies, dedicato alla prevenzione dei reati di razzismo e xenofobia (introdotto dalla L. 167/2017, legge europea 2017).

Tale norma fa riferimento all’art. 3 della L. 654/1975, che aveva ratificato la Convenzione internazionale di New York del 1966 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e che è stato, poi, integrato dalla L. 115/2016 con il comma 3-bis, oggi rilevante anche per la responsabilità delle persone giuridiche.
In particolare, si tratta dei delitti di propaganda, istigazione e incitamento fondati sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah, dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale (ratificato in Italia dalla L. 232/1992); condotte che dovranno essere caratterizzate anche da un pericolo concreto di diffusione.

L’illecito qui affrontato è quello noto come “negazionismo”, su cui, tra l’altro, esiste un grande dibattito rispetto alle libertà di pensiero, di espressione, di stampa, di associazione.
Va notato che, secondo una tecnica legislativa quasi “a incastro”, lo stesso articolo della legge europea dedicato alla “completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale” integra il citato art. 3 comma 3-bis con le condotte di “minimizzazione in modo grave” e di “apologia” e, al medesimo tempo, lo rende reato presupposto per le persone giuridiche.

Da ciò deriva che, quando questi reati siano commessi nell’interesse e a vantaggio di una società o di un ente, quest’ultimo potrà essere colpito da una sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote, nonché dall’applicazione, per una durata non inferiore a un anno, delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 del DLgs 231/2001: interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Il comma 3 del nuovo art. 25-terdecies prevede anche che, se l’ente o una sua unità organizzativa è stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di tali delitti, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.

Resta aperto il tema dell’accertamento dell’interesse e vantaggio, requisito necessario per la condanna di una persona giuridica, ma non sempre facilmente individuabile in condotte che poco hanno a che fare con il “tradizionale” diritto penale dell’impresa.

I principi del codice etico avranno un ruolo centrale

Sarà anche dibattuta la ricaduta di tale nuovo reato presupposto sui modelli organizzativi e sulle misure da adottare ai fini della sua prevenzione, in quanto andranno identificate le possibili aree sensibili e le procedure adatte a diminuirne il rischio di verificazione.
Si pensi, ad esempio, all’affitto di locali per eventi e manifestazioni finalizzate alla propaganda vietata dalla norma, ovvero a forme di finanziamento per gli stessi, ovvero ancora a pubblicazioni editoriali o televisive che ne favoriscano la diffusione. Un’attenzione particolare dovrà, proprio, essere dedicata a testate editoriali, imprese radiotelevisive e gestori di siti web.
Ruolo centrale, ai fini preventivi, avranno i principi enunciati nel codice etico e i momenti formativi che fanno parte dell’efficace attuazione del modello.

Discorso a parte, si dovrà, invece, affrontare quando – come enunciato dal citato comma 3 del nuovo articolo 25-terdecies – l’ente sia “stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di tali delitti”.
Si tratta del caso dell’impresa, associazione o fondazione per sua natura illecita, dove nessuna efficacia potrà assumere il modello di organizzazione, gestione e controllo; tanto è vero che il legislatore stesso ne prevede l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.

Va, infine, notato come il DLgs. 231/2001 stia diventando un “contenitore” sempre più ampio, sia per il numero di reati presupposto, sia per i diversi ambiti in cui viene richiamato: basti pensare che nel corso del 2017 è stato modificato dal decreto di attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI sulla lotta contro la corruzione nel settore privato (DLgs. 38/2017), dalla riforma del Codice Antimafia (L. 161/2017), dalla legge europea oggi in commento, nonché preso in considerazione dalle Linee Guida ANAC come strumento alternativo al Piano anticorruzione (Determinazione n. 1134/2017).